Nella diocesi di Milano il XLII Convegno nazionale delle Caritas diocesane

Dopo due anni di ritardo, causati dalla pandemia, si è riusciti finalmente a celebrare il XLII Convegno nazionale delle Caritas diocesane, presso il Centro congressi “Stella Polare” di Rho (diocesi di Milano). Con oltre 500 partecipanti (547) provenienti da tutta Italia (22 dalla Sardegna), in particolare da 165 diocesi (36 diaconi, 11 consacrati, 79 presbiteri, 15 religiosi, 7 vescovi e 399 laici, di cui 125 giovani under 35), il Convegno si è tenuto dal 20 al 23 giugno scorso, dando vita a numerose riflessioni e momenti di confronto e preghiera.

Dopo il saluto dell’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, l’introduzione del presidente della Caritas Italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, e l’intervento del neo eletto presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Matteo Maria Zuppi, il Convegno è entrato subito nel vivo del lavoro che la Chiesa italiana sta compiendo nel suo cammino sinodale. Ad approfondire questo tema, con una relazione dal titolo “La Carità principio fondante del cammino sinodale”, è stato il direttore dell’Ufficio catechistico e sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Valentino Bulgarelli.

Ogni mattina i lavori del convegno hanno preso avvio con la preghiera e la lectio proposta dalla pastora battista Lidia Maggi, predisponendo i partecipanti a un’attenta lettura della vocazione caritativa alla luce della Parola di Dio.

Ugualmente stimolanti le diverse testimonianze proposte: dalla lettura teologico-pastorale di mons. Pierangelo Sequeri alla sua esperienza fondativa dell’Orchestra Esagramma (straordinaria dimensione artistica di un ensemble che include persone diversamente abili); dal racconto di suor Simona Cherici, di accoglienza che interpella e suscita richiesta di aiuto per chi si prende cura degli ultimi, alla testimonianza di Chiese sorelle in Libano (con Padre Michel Abboud) e in Ucraina (con don Vyacheslav Grynevich e Tetiana Stawnichy, rispettivamente segretario generale di Caritas-Spes e presidente di Caritas Ucraina); dagli approfondimenti sulla crisi in Europa con il direttore di Avvenire (Marco Tarquinio), il direttore di Famiglia Cristiana (don Stefano Stimamiglio) e la direttrice esecutiva del War Childhood Museum (Amina Krvavac), impreziositi dalla musica di due violinisti e coniugi Ksenia Milas (russa) e Oleksandr Semchuk (ucraino); dalla esperienza di attivismo e militanza contro le mafie di Vincenzo Linarello (presidente del Gruppo cooperativo GOEL) alla testimonianza offerta da una consorella di suor Maria Laura Mainetti, assassinata a Chiavenna nel giugno del 2000 da tre ragazze e beatificata lo scorso anno.

Degni di note anche i gruppi di lavoro condotti il pomeriggio di mercoledì 22 e guidati da Chiara Giaccardi, Leonardo Becchetti ed Elena Granata. Suggestiva la messa celebrata in duomo martedì 21, con la stimolante omelia di mons. Mario Delpini sulla missione di Gesù come un’avversativa (Lc 5, 12-16).

Si è detto di una significativa presenza di giovani tra i partecipanti (125 under 35); ed è proprio ai giovani che è stata dedicata  una tavola rotonda finale con i giovani impegnati nel servizio civile e nel volontariato, coordinata da un giovane giornalista: Luca Cereda.

A tracciare le linee di prospettiva per il futuro della Caritas (non conclusioni), dopo il giro di boa dei primi 50 anni, Padre Giacomo Costa e lo stesso direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, il quale ha più volte sottolineato come anche la Caritas, che è espressione viva della Chiesa, ha bisogno di tornare a pensare e a sognare, con fantasia e vivacità, senza riproporre vecchi schemi (il “si è sempre fatto così” di cui parla spesso Papa Francesco) ma lasciandosi guidare docilmente dallo Spirito, che sempre soffia dove vuole.

Caritas diocesana di Iglesias

“Mi sta a cuore – Curare il presente per sognare il futuro”. Un progetto di Caritas Italiana per i giovani

Hai tra i 19 e i 30 anni e vorresti condividere un’esperienza di servizio insieme ai giovani da tutta Italia? Sei nel posto giusto!
Con il progetto “Mi sta a cuore – Curare il presente per sognare il futuro” hai la possibilità di candidarti per vivere un’esperienza a Roma dedicando un anno della tua vita – dall’1 ottobre 2022 – a servizio degli altri e condividendo il cammino con altri giovani. Scarica il progetto.
Per essere tra gli otto giovani che verranno selezionati a partecipare, compila il form di Google entro il 31 luglio 2022 e sarai ricontattato per un colloquio di selezione a Roma presso la sede di Caritas Italiana in via Aurelia 796 dal 6 all’8 settembre 2022.
Per maggiori informazioni puoi consultare le FAQ qui di seguito riportate oppure scrivere a segreteria@caritasiglesias.it.
NON PERDERE L’OCCASIONE! TI ASPETTIAMO!
  1. CHI PUO’ PARTECIPARE?
    Giovani di tutta Italia di età compresa tra i 19 (compiuti nel 2022) e i 30 anni (compiuti nel 2022).
  2. QUALI REQUISITI SONO RICHIESTI?
    I requisiti richiesti sono motivazione, voglia di mettersi in gioco, curiosità, disponibilità alla vita comunitaria e condivisione dei valori del progetto.
  3. POSSO CANDIDARMI SE HO GIA’ SVOLTO L’ANNO DI SERVIZIO CIVILE O L’ANNO DI VOLONTARIATO SOCIALE?
    Sì.
  4. POSSO CANDIDARMI ANCHE SE NON HO ESPERIENZA DI VOLONTARIATO E NON CONOSCO IL MONDO CARITAS?
    Sì.
  5. QUANTO DURA IL PROGETTO?
    Il progetto partirà il 1° ottobre 2022 e avrà durata di 12 mesi.
  6. DOVE SARÀ LA SEDE DEL PROGETTO?
    Ai partecipanti chiediamo di trasferirsi a Roma per un anno e di vivere l’esperienza di vita comunitaria presso un’ala indipendente dell’istituto delle Suore Figlie della Carità (via Francesco Albergotti, 75) da gestire in autonomia.
  7. COME MI MANTENGO ECONOMICAMENTE PER TUTTTA LA DURATA DEL PROGETTO?
    Le spese di vitto e alloggio sono a carico del progetto e, in aggiunta, ai partecipanti sarà riconosciuto un rimborso spese mensile.
  8. COSA FARÒ CONCRETAMENTE?
    La settimana sarà scandita dal servizio presso gli uffici di Caritas Italiana, a Roma, in via Aurelia 796, e dal servizio concreto verso gli “ultimi” – e non solo – presso i luoghi della città di Roma che saranno individuati insieme ai giovani, una volta arrivati e ascoltati i loro desideri.
  9. PERCHÉ DOVREI CANDIDARMI A PARTECIPARE?
    Crediamo che questa esperienza possa essere, se vissuta bene, altamente formativa per conoscersi, crescere, condividere e costruire da protagonisti il proprio presente e futuro.

La presenza dei detenuti stranieri nelle strutture penitenziarie della Sardegna

Photo by Matthew Ansley

Il servizio svolto all’interno e all’esterno del mondo carcerario da parte delle comunità cristiane (cappellani, volontari delle Caritas, ecc.) pone in luce l’esistenza di una realtà sofferta e complessa, come ci ricordano di tanto in tanto anche le cronache giornalistiche, in particolare quando si apprende dolorosamente della difficile condizione della vita carceraria o persino di qualche detenuto che si toglie la vita.
Peraltro, queste difficoltà e complessità si amplificano quando i detenuti provengono da Paesi diversi dal nostro. I detenuti stranieri, infatti, oltre alle consuete difficoltà tipiche di chi vive una condizione della limitazione della libertà personale, manifestano sovente l’assenza di reti relazionali significative con l’esterno; alcune volte subiscono ulteriori discriminazioni all’interno delle strutture detentive; trascorrono i giorni in condizioni di reale indigenza; inoltre, vivono sulla propria pelle la minaccia incombente di una legislazione riguardante il permesso di soggiorno che, una volta usciti dal carcere, rischia di porli in una condizione di illegalità non sanabile in poco tempo.
Stando ai dati del Ministero della Giustizia, al maggio del 2022, dei 2.011 detenuti reclusi nelle strutture penitenziarie della Sardegna 426 sono di nazionalità non italiana: una quota pari al 21,2%. Si tratta di una presenza concentrata per lo più nelle strutture di Onanì-Mamone (ove gli stranieri assorbono il 66% delle persone recluse), Arbus-Is Arenas (64,5%) e Isili (ove la metà della popolazione carceraria è straniera). Risulta minoritaria, ma comunque significativa, la percentuale dei detenuti stranieri presente nelle strutture penitenziarie di Sassari-Bancali (poco più di un quarto, con una quota pari al 27,5%) e di Cagliari-Uta (16,6%).
La maggior parte dei detenuti stranieri proviene dal continente africano (dai soli Paesi del Maghreb una quota pari al 40,8%); in particolare dal Marocco (105 su un totale di 426 detenuti stranieri), dalla Nigeria (51), dalla Tunisia (41), dall’Algeria (28), dal Gambia (17), dal Senegal (16), dall’Egitto (12) e dal Ghana (5).
Tra i detenuti provenienti dal continente europeo: i romeni (34), gli albanesi (25), i bosniaci (8), gli ucraini (7) e i polacchi (4). Sono presenti anche detenuti provenienti dalla Siria (7), dall’India (5), dal Pakistan (4) e dalla Cina (4).
Della condizione dei detenuti stranieri reclusi nelle strutture penitenziarie della Sardegna si occupò anche una ricerca condotta dalla Delegazione regionale della Caritas, pubblicata nel 2015 col titolo “Caritas: dentro e fuori dal carcere. Indagine sulla popolazione straniera detenuta negli istituti di pena della Sardegna”.
I detenuti stranieri incontrati dagli operatori delle Caritas durante la ricerca furono più di 300 (di cui solo 6 di genere femminile). La somministrazione dei questionari avvenne in alcune delle strutture penitenziarie dell’epoca: Cagliari, Iglesias, Isili, Massama, Nuoro, Onanì e Tempio-Pausania. Da quella ricerca emergeva come dall’Africa provenisse la maggior parte dei detenuti intervistati (più di uno su quattro nato in Marocco).
In diversi casi i detenuti stranieri intervistati dichiararono di non essere in possesso del permesso di soggiorno prima della reclusione: quasi sei su dieci. Tale problema, spesso sottovalutato, influenza in maniera determinante le vicende degli stranieri. Le richieste emerse durante i colloqui furono molteplici, intercettando problematiche quali: la modalità per la regolarizzazione e per il rinnovo del permesso di soggiorno; le norme che regolano l’espulsione e l’estradizione; le possibilità e modalità di accesso a misure alternative; il rinnovo di documenti presso l’autorità consolare del paese d’origine; le modalità per ottenere il permesso di contattare i familiari.
Per i detenuti stranieri assume grande rilevanza il ruolo assunto dai mediatori linguistici e culturali. Il mediatore, ad esempio, aiuta i detenuti a leggere e capire i documenti processuali e le lettere degli avvocati, a comprendere le modalità per ottenere indumenti e altri effetti personali, per svolgere lavori interni all’Istituto carcerario dove stanno scontando la pena, per iscriversi a corsi professionali e scolastici. Si tratta di un ponte con il mondo esterno e con un futuro di redenzione che è spesso difficile intravedere stando all’interno di un’istituzione totale come il carcere.

Raffaele Callia

Quale coscienza sociale di fronte al cambiamento climatico?

Photo by Chris LeBoutillier

«Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare. L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano».

Ad esprimersi in questi termini è l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, al numero 23, dopo averci ricordato nello stesso punto che «il clima è un bene comune, di tutti e per tutti». È pur vero che in questi ultimi anni, nell’opinione pubblica, è cresciuta una certa sensibilità sui temi del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. Si è nel complesso consapevoli che la virulenza di eventi quali tifoni, tornado e alluvioni non è più relegata alle sole zone tropicali, così com’è cresciuta la preoccupazione per i prolungati periodi di siccità e per l’innalzamento delle temperature medie, che anticipano l’avvento della stagione calda e la prolungano in modo indefinito. Eppure, sembrerebbe che questa rinnovata sensibilità non riesca ancora a tradursi in un effettivo sostegno alle politiche che pongano la questione ambientale come tema centrale dell’ecologia integrale.

Su queste tematiche la sociologa Raya Muttarak (dal dicembre dello scorso anno docente di demografia all’Università di Bologna ed esperta di percezione del cambiamento climatico, disuguaglianza sociale, salute e migrazione) ha pubblicato recentemente uno studio in cui si pone in evidenza la connessione esistente tra comportamenti elettorali ed eventi climatici estremi. Fra gli esiti più significativi di tale studio emerge come una delle strozzature più rilevanti che impediscono la riduzione dei cambiamenti climatici è proprio di natura politica. I costi immediati, i sacrifici e i tagli necessari a ridurre le emissioni di carbonio, infatti, comporterebbero un elevato prezzo in termini di consenso elettorale. Questo significa che, pur disponendo della conoscenza e delle tecnologie necessarie per contrastare il cambiamento climatico, non si è disposti a suscitare il dissenso dell’elettorato (con la conseguente perdita di potere) che inevitabilmente ne deriverebbe, tenuto conto dei necessari sacrifici in termini di cambiamento radicale degli stili di vita.

Altre indagini sul tema mostrano come soprattutto i cittadini europei, anche dal punto di vista semantico, siano preoccupati più nello specifico dal “riscaldamento globale” che dai “cambiamenti climatici” in senso lato. Termini quali “anomalie delle temperature”, “episodi di calore” ed “episodi di siccità” inquietano molto di più l’elettore medio europeo  rispetto a una generica preoccupazione sul cambiamento del clima. Come ha posto in rilievo la rivista Neodemos, in un articolo del 24 maggio scorso, «maggiore è il numero di giorni di caldo fuori stagione (rispetto alla media del periodo 1971-2000) verificatosi in una determinata regione durante l’anno che ha preceduto una consultazione elettorale o un’elezione europea, maggiore è il numero di persone che in quell’area si sono dichiarate preoccupate per l’ambiente e più alta la quota di voti incassati dai partiti ambientalisti. Lo stesso effetto non si registra nel caso di anomalie negative di temperatura, come ondate di freddo, lunghi periodi di pioggia e alluvioni».

Gli esperti ci ricordano che se non si metteranno in pratica azioni concrete di contrasto al riscaldamento globale, attraverso la riduzione delle emissioni di carbonio, nei prossimi decenni l’umanità dovrà fare i conti con fenomeni metereologici sempre più estremi. L’appello è ad assumere ciascuno quote di responsabilità (a livello personale e collettivo) nel cambiamento degli stili di vita, di produzione, di scambio, di consumo, di trasporto, ecc. Un cambiamento, dunque, decisamente radicale.

A tale riguardo, l’Enciclica Laudato si’ ci richiama alle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, invitandoci «a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremo soltanto i sintomi» e a passare «dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere».

Raffaele Callia