Cronaca di una tragedia annunciata: la morte di Satnam Singh

Foto di Tim Mossholder su Unsplash

Sono trascorsi quasi 35 anni dalla morte di Jerry Essan Masslo, ucciso il 25 agosto 1989 a Villa Literno da una banda di criminali. Si trattò di un brutale assassinio, a seguito di un tentativo di estorsione, in un contesto di profondo sfruttamento della manodopera straniera che viveva in baracche e che era dedita al lavoro nell’agricoltura, in particolare la raccolta del pomodoro. Jerry Masslo era un sudafricano, giunto in Italia nel marzo del 1988. Vistosi non riconosciuto il diritto d’asilo a causa del principio della “limitazione geografica” (la normativa, che prevedeva lo status di rifugiato per i soli cittadini dell’Europa dell’Est, sarà poi modificata in senso evolutivo proprio a seguito della sua morte), Masslo si trasferì in Campania per cercare fortuna, trovandovi in realtà un lavoro sottopagato e in condizioni di sfruttamento, oltre che una fine violenta all’età di 29 anni. La sua morte suscitò grande indignazione in tutto il Paese, con una commozione pubblica accresciuta dai funerali di Stato alla presenza di diversi rappresentanti delle istituzioni.

A distanza di così tanto tempo la storia si è ripetuta con la stessa drammaticità e con lo stesso corollario di retoriche inutili e intollerabili. Una storia fatta di lavoro sottopagato, di sfruttamento di una manodopera straniera fragile, poiché sprovvista di un contratto di lavoro e di un regolare titolo di soggiorno; una storia già nota di caporalato scandaloso e disumano, consumato quotidianamente alla luce del giorno. Insomma, una cronaca di una tragedia già annunciata, di degrado della dignità umana che è unicamente funzionale a soddisfare le aspettative dei consumatori e non certo il rispetto dei diritti umani.

La stessa drammatica storia si è ripetuta qualche giorno fa anche per Satnam Singh, il bracciante indiano giunto in Italia tre anni fa e che a Borgo Santa Maria, in provincia di Latina, ha dapprima perso la dignità di lavoratore (lavorando fino a 12 ore al giorno senza contratto e per una paga di meno di 200 euro al mese), poi un braccio, incastrato in un macchinario, poi la dignità come essere umano per essere stato scaricato e abbandonato agonizzante di fronte a casa da un datore di lavoro aguzzino, e infine la stessa vita, persa come una bestia dissanguata al macello, dopo poco più di un giorno.

A ben considerare, la morte di Satnam Singh, come quella di Jerry Masslo, non può essere derubricata a incidente sul lavoro ma è dovuta a un sistema criminale che sfrutta gli immigrati irregolari, i quali, proprio perché sprovvisti del permesso di soggiorno, sono facilmente ricattabili dai caporali di turno e dalle logiche predatorie di un sistema economico di tipo schiavistico. Ecco, perché, ora suona come tardivo e ipocrita il riconoscimento del permesso di soggiorno alla vedova di Satnam Singh, Soni, “per motivi di protezione speciale”. E anche la generosa offerta di pagare il costo del funerale, da parte della Regione Lazio, non potrà certo restituire alla povera vedova il marito morto così assurdamente.

Per amore della giustizia e affinché tragedie come queste non abbiano a ripetersi, alcune domande sono per tutti noi obbligatorie: possibile che l’impiego massiccio di lavoratori senza contratto, per giunta stranieri senza permesso di soggiorno, alla luce del giorno, non abbia destato l’attenzione delle autorità preposte ai controlli? Dove sono le organizzazioni di tutela dei lavoratori agricoli e che conoscenza effettiva hanno i sindacati delle condizioni di tanti lavoratori stranieri impiegati come braccianti? La morte di Satnam Singh si sarebbe potuta evitare, considerato che il padre del suo datore di lavoro era già indagato da 5 anni per reati di caporalato in un altro procedimento?

Alla vicenda della morte di Satnam Singh ha fatto cenno anche il presidente delle Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia del 160° anniversario della Croce Rossa Italiana. Parlando del volontariato, il capo dello Stato ha ricordato come esso esprima valori che «sono parte della cultura e della stessa identità del nostro popolo. Questo è il carattere dell’Italia, ampiamente diffuso nella concreta vita quotidiana, ed è quel che la rende, in conformità alla sua storia, un Paese di grande civiltà. Contro questa grande civiltà stridono [ha precisato Mattarella] episodi e comportamenti come quello avvenuto tre giorni fa, quando il giovane Satnam Singh, lavoratore immigrato, è morto vedendosi rifiutati soccorso e assistenza dopo l’ennesimo incidente sul lavoro. Una forma di lavoro che si manifesta con caratteri disumani e che rientra in un fenomeno – che affiora non di rado – di sfruttamento del lavoro dei più deboli e indifesi, con modalità e condizioni illegali e crudeli».

In queste stesse ore lascia sdegnati un’altra notizia, proveniente da un altro Paese, che riguarda lo sfruttamento di lavoratori nel settore domestico. Alcuni membri della famiglia Hinduja, anch’essa di origine indiana, come il povero Satnam Singh, ma in condizioni economiche ben diverse da quest’ultimo, essendo tra le più ricche del Regno Unito, sono accusati da un Tribunale svizzero di sfruttamento dei propri domestici in servizio presso la villa di Ginevra, in quanto venivano pagati a otto euro al giorno per 18 ore di attività e con i passaporti confiscati dai datori di lavoro. Altre vicende di ordinaria schiavitù, dunque.

Una volta, in un’intervista, il povero Jerry Masslo affermò che pensava di trovare in Italia uno spazio di vita e una ventata di civiltà, un’accoglienza che gli permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece, affermò, «sono deluso […]. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro Paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo».

Raffaele Callia

La povertà che non diminuisce e il futuro delle politiche sociali

Foto di Rémi Walle su Unsplash

Il 13 giugno scorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato un consistente “Rapporto di monitoraggio sulla gestione e sugli esiti del Reddito di cittadinanza relativo agli anni 2020-2023”, realizzato da un apposito Comitato scientifico previsto dalla legge istitutiva del 2019. Oltre al testo integrale del Rapporto sono stati pubblicati anche una sintesi e delle tabelle esplicative dei dati.

Dal Rapporto in questione emerge come in quattro anni e mezzo, da aprile 2019 a dicembre 2023, a ricevere il Reddito di cittadinanza o la Pensione di cittadinanza siano stati in tutto oltre 5.000.000 di beneficiari. Di questi, meno di un terzo (pari a oltre 1 milione e mezzo di persone) ha ricevuto tale beneficio senza soluzione di continuità. Per tutto il periodo considerato, la misura è costata allo Stato circa 34 miliardi di euro. Oltre al costo dell’operazione nel suo complesso, ciò che deve interessare la collettività è sapere se la misura ha avuto un impatto importante nel contrastare la povertà, in particolare quella assoluta, tenuto conto dell’obiettivo ambizioso che si era posto il legislatore con tale dispositivo: attivare una misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, di pari passo (aspetto che è rimasto sostanzialmente sullo sfondo) con l’implementazione di politiche attive del lavoro.

A fornirci una risposta in tal senso è l’Istituto nazionale di statistica. Considerando i dati sulle famiglie in povertà tra il 2020 e il 2022, l’Istat ha calcolato che poco più del 30,0% di esse è stata in grado di ricevere il Reddito di cittadinanza. Ciò significa che ben oltre i due terzi della platea delle famiglie che vivevano in condizioni di povertà assoluta, in quegli anni particolarmente difficili a causa delle conseguenze socio-economiche della pandemia, non hanno potuto usufruire del provvedimento in questione. Si tratta di una realtà che era stata già fotografata a suo tempo dalla Caritas Italiana, attraverso un monitoraggio sul Reddito di cittadinanza, poi confluito in una pubblicazione dal titolo “Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte”.

Oltre all’esclusione di una parte consistente della platea dei potenziali beneficiari, l’applicazione della misura ha fatto registrare alcune disparità di trattamento legate al contesto territoriale. Le famiglie povere residenti nel Nord Italia, infatti, sono state sostanzialmente penalizzate rispetto a quelle del Sud, a causa dell’applicazione di una soglia unica nazionale che non ha tenuto conto del differente costo della vita (più elevato al Settentrione rispetto al Meridione d’Italia). Non solo, l’utilizzo di una scala di equivalenza “piatta”, non in grado di modulare adeguatamente l’entità del contributo sulla base della numerosità dei componenti dei nuclei familiari, ha di fatto penalizzato le famiglie più numerose.

Un ultimo aspetto di criticità, non meno importante, riguarda il tema della presa in carico dei beneficiari e il ruolo dei Servizi sociali territoriali. Riguardo a questo aspetto, il Rapporto pubblicato il 13 giugno pone in evidenza come solo la metà dei nuclei beneficiari del Reddito di cittadinanza sia stato indirizzato ai Servizi sociali e, tra di essi, solo il 23,0% ha firmato il cosiddetto “Patto d’Inclusione” all’inizio del 2023. In molti, tra studiosi ed operatori del settore, ritengono che questi risultati siano la conseguenza da un lato di un enorme ritardo nei percorsi di accompagnamento in favore dei beneficiari e dall’altro di un mancato rafforzamento amministrativo a livello locale, assolutamente necessario a garantire una misura organizzativamente così complessa.

D’altra parte va considerato, ancora una volta dati alla mano, come grazie a tale misura l’incidenza della povertà familiare nel 2020 sia effettivamente scesa di 1,6 punti percentuali. Come dire che se non vi fosse stato il Reddito di cittadinanza, in un momento di forte crisi socio-economica dovuta alla pandemia, la situazione sarebbe stata ben peggiore.

Oggi le politiche sociali si trovano di fronte a uno scenario non meno complesso, con una povertà assoluta che non accenna a diminuire e con una fragilità che intacca sempre più le fasce più deboli della popolazione, come i bambini. L’ultimo rapporto pubblicato da Save the Children Italia, dal titolo “Domani (Im)Possibili”, che contiene anche un’indagine condotta da Caritas Italiana, ci ricorda come l’incidenza più alta della povertà assoluta si stia registrando tra i minori di 18 anni: il 14,0% dei minorenni si trova in condizioni di povertà, il che significa che ben 1,3 milioni di minori in Italia è povero.

L’esperienza insegna come sia necessario sempre partire dai poveri per formulare delle proposte che siano in grado di rispondere ai loro bisogni ma anche alle loro aspirazioni. Nel fare ciò bisogna evitare di lasciare fuori qualcuno: che sia straniero o italiano, che viva in una regione del Nord o in una del Mezzogiorno, che viva in una famiglia numerosa o che sia solo. Non solo, bisogna assicurarsi che gli attori sociali, a cominciare da chi opera nei Servizi pubblici, sia adeguatamente sostenuto e formato per reggere il peso organizzativo di una misura che non può solo essere pensata dal centro, senza considerare la realtà dei territori, le loro diversità e peculiarità.

Raffaele Callia

 

Dalla formazione alla ricerca-azione. Anche la Caritas coinvolta nel Service-Learning

Nell’ambito del progetto scolastico “Io voglio esserci”, promosso dalle classi 1ª A, 3ª A e 3ª B della Scuola primaria di Iglesias “P. Allori”, la maestra Enrica Ena ha voluto coinvolgere la Caritas diocesana di Iglesias affinché i piccoli inizino ad avvicinarsi al mondo del volontariato e a tutto ciò che questo organismo pastorale della Chiesa cattolica sostiene quotidianamente sul territorio, attraverso le sue opere, i suoi progetti e l’impegno di tanti volontari.

A gennaio scorso una piccola delegazione della Caritas, composta da Emanuela e Valentina, ha dialogato con i bimbi descrivendo nel dettaglio i luoghi dell’ascolto e dell’accoglienza, grazie ai quali gli operatori riescono a dare concrete risposte a chi si rivolge per ricevere una mano d’aiuto. Attraverso la proiezione del video “È molto di più”, realizzato dalla Caritas diocesana, ai bambini è stata offerta una panoramica di alcuni servizi presenti nel territorio diocesano: i 6 Centri di ascolto, la Casa di accoglienza e il Dormitorio “Santo Stefano”, l’Emporio della Solidarietà e gli Orti Solidali di Comunità.

La genuina curiosità dei piccoli dagli 8 e10 anni è stata spiazzante; hanno infatti posto tante domande, alcune delle quali davvero inaspettate: “che cosa possiamo fare noi bambini per la Caritas?”, “chi l’ha creata?”, “da dove arrivano gli aiuti che date alle persone?”, “come vi siete sentite quando avete iniziato il vostro servizio alla Caritas?”. Anche le maestre hanno rivolto dei quesiti alle due operatrici, in modo che descrivessero sé stesse e la motivazione che le ha spinte ad impegnarsi in Caritas. Di certo, sono rimaste favorevolmente stupite dal livello di attenzione dei
bambini che per circa un’ora sono rimasti seduti ad ascoltare e a porre domande su una realtà di cui sentivano parlare per la prima volta.

Il progetto che vede coinvolta anche la Caritas di Iglesias proseguirà grazie all’impegno della maestra Ena e delle sue colleghe; Si è lavorato ancora tanto con i piccoli che, nei mesi seguenti, hanno avuto modo di poter visitare alcuni servizi della Caritas; per conoscere dal vivo dove e come i volontari della Caritas di Iglesias si rendono disponibili ad accogliere e ascoltare i poveri.

A conclusione del percorso progettuale, martedì 4 giugno, dalle 9.00 alle 13.00, presso l’Istituto Tecnico Minerario di Iglesias (in via Roma 45), si terrà l’evento Service-Learning. Dalla formazione alla ricerca-azione, durante il quale saranno presenti i bambini coinvolti nel progetto, insieme ai loro insegnanti; alcune autorità scolastiche e istituzionali; il prof. Italo Fiorin, presidente della Scuola di alta formazione EIS dell’Università LUMSA di Roma, e i vari partner, fra cui la Caritas diocesana di Iglesias.

Quest’esperienza ha fatto comprendere come sia molto importante iniziare a seminare fin dalla più tenera età, affinché l’attenzione al prossimo diventi un atteggiamento consueto e doveroso; una semina che può contribuire a far sentire tutte le persone corresponsabili nella realizzazione di una società più giusta e solidale.

Emanuela Frau e Valentina Diana
Caritas diocesana di Iglesias