Spettatori morbosi, indifferenti al dolore altrui

Foto ANSA

Per una società in cui si consuma pressoché quotidianamente e rapidamente la spettacolarizzazione del dolore, con appositi programmi televisivi strappalacrime e continui dibattiti alimentati da presunti esperti di storie di straordinaria atrocità, quanto è avvenuto a Civitanova Marche rimarrà per sempre come un’onta indelebile, un inaccettabile paradosso della coscienza.

Forse perché distratti da una campagna elettorale inaspettata e non particolarmente entusiasmante o perché sfiancati dal caldo umido che da diverse settimane non dà tregua (per tacere della guerra in Ucraina, passata in pochi mesi a “notizia di secondo piano”), si è quasi derubricato a fatto di ordinaria cronaca nera l’omicidio di Alika Ogorchukwu, un cittadino nigeriano barbaramente ucciso in una pubblica via della cittadina marchigiana da un trentaduenne italiano, con un passato di dipendenza da sostanze e con disturbi della personalità.

A lasciare sgomenti, come sempre accade quando si spegne una vita (qualunque vita) a causa della banalità del male, non è solo la morte violenta e assurda di una persona inerme, quanto la reazione (o meglio la non reazione) di quanti, presenti al pestaggio, non solo non sono intervenuti per interrompere l’aggressione ed evitare il peggio ma hanno persino trovato il tempo e la morbosa volontà di riprendere l’accaduto e condividerlo in rete, per poi affrettarsi ad archiviarlo tra le esperienze memorabili, seppure assolutamente ignobili.

È senza dubbio una società insana quella che, nella tranquillità del salotto di casa e tra le persone più intime, prova una commozione epidermica per le immagini dei bambini ucraini che fuggono dalla guerra o che manifesta sdegno e raccapriccio quando apprende la notizia della terribile morte per inedia di una bambina di 18 mesi, abbandonata dalla propria madre, e poi assiste personalmente alla violenza esercitata a scapito di una persona inerme (una violenza reale, non appresa in differita attraverso lo schermo televisivo) senza intervenire a fermare l’aggressore e soccorrere il malcapitato.

Inutile dire, a proposito dello spettro del razzismo che aleggia nel dibattito pubblico, che se i ruoli fossero stati invertiti (e l’aggressore fosse stato Alika Ogorchukwu) ci sarebbero state inevitabilmente manifestazioni rabbiose nelle pubbliche piazze, alimentate da una campagna elettorale che dell’immigrazione, anche in questa stagione politica, rischia di farne un uso improprio e strumentale. Ha prevalso, invece, una sostanziale indifferenza, quasi una rassegnazione alla banalità del male; perfino qualche giustificazione (fortunatamente isolata) rispetto a quanto è avvenuto, motivando il tutto con la reazione scomposta – questa la notizia che circolava nelle prime ore, poi smentita – di una persona infastidita per l’insistenza nel chiedere l’elemosina o per apprezzamenti non graditi nei confronti della propria compagna.

La verità è che i disvalori di cui troppo spesso siamo portatori inconsapevoli rischiano di trasformarci progressivamente in spettatori morbosi e irresponsabili, sostanzialmente indifferenti al dolore altrui. Se non intendiamo perdere la dignità come esseri umani bisogna non stancarsi mai di ricordarci che il male va fermato, non filmato.

Raffaele Callia