L’ultimo drammatico episodio risale a qualche giorno fa quando due cittadini statunitensi, un’infermiera e suo figlio, sono stati rapiti da una delle tante bande criminali che imperversano nella capitale Port-au-Prince. La signora rapita, Aliz Dorsainvil è un’operatrice umanitaria di un’organizzazione cristiana, “El Roi Haiti”, che lavora vicino alla capitale haitiana con l’obiettivo di «formare leader haitiani che rafforzino le famiglie, ripristinino le relazioni e costruiscano comunità sane», come si legge nel sito dell’organizzazione.
Dal giorno dell’omicidio del presidente Jovenel Moïse, avvenuto il 7 luglio 2021 ad opera di un commando composto da sicari colombiani e haitiano-statunitensi, il Paese è formalmente di fronte a un vuoto di potere (il reggente è il primo ministro Ariel Henry) che lascia ampio spazio all’anarchia e al bellum omnium contra omnes delle diverse bande criminali presenti da lungo tempo. In questi ultimi anni a diventare merce di scambio in cambio di un riscatto non sono solo gli stranieri (fra cui diversi professionisti e operatori umanitari) ma la stessa popolazione civile haitiana, in una situazione in cui le autorità armate legittime sono quasi del tutto scomparse. Molte famiglie haitiane non mandano più i figli a scuola per paura che siano sequestrati; e non andando a scuola non solo si privano quei ragazzi dell’istruzione (la leva più importante per il riscatto civile e sociale di quella popolazione) ma si impedisce loro di ricevere anche un’adeguata sicurezza alimentare, visto che i pasti forniti dalle scuole danno un contributo importante ai bilanci familiari.
Dopo un doloroso passato coloniale non del tutto cessato, Haiti sembrerebbe condannata a una sorta di dannazione senza soluzione di continuità, tra eventi naturali catastrofici (in particolare uragani e terremoti, il più terribile dei quali – nel 2010 – ha causato circa 230.000 morti), numerosi colpi di Stato e regimi dittatoriali, instabilità politica e corruzione, povertà estrema, fame e continue violenze. Chi ha viaggiato ad Haiti – non da turista – sa bene che in quella porzione di paradiso caraibico si cela un inferno dove la vita umana non vale nulla e dove si uccide senza alcuna remora chiunque possa costituire una qualche fonte di guadagno. In questo scenario, come ha dichiarato Cindy McCain, la direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale (Pam), la crisi alimentare ad Haiti anche a causa delle bande armate «è invisibile, inascoltata e non affrontata», con 4,9 milioni di haitiani che lottano ogni giorno per mangiare.
D’altra parte, ad Haiti le bande armate non sono un fenomeno recente. La nascita delle gang criminali e dei gruppi paramilitari ha origini lontane, a cominciare dal periodo immediatamente successivo all’agognata indipendenza dalla Francia, avvenuta nel 1804. Un’indipendenza pagata a caro prezzo non solo in termini di vite umane ma anche economici, giacché la Francia pretese un oneroso “risarcimento” che di fatto condizionò la storia dello sviluppo economico e sociale del Paese. Il paradosso, infatti, fu che per poter pagare quel “risarcimento” Haiti fu costretta a chiedere un prestito alle banche francesi, dando vita a un fenomeno storicamente ricordato come “doppio debito”. È stato calcolato che fino al 1911, per ogni tre dollari incassati dalle tasse sul caffè, 2,53 dollari furono usati per ripagare il debito controllato dagli investitori francesi. Nei primi lustri del Novecento, alla povertà indotta dal paradosso del “doppio debito” si sommò la perenne instabilità politica. Nell’arco di soli 4 anni, infatti, furono uccisi sette presidenti. Un caos ingovernabile dalle forze politiche del Paese che indusse gli Stati Uniti ad intervenire militarmente nel 1915 (e fino al 1934), con l’obiettivo di stabilizzare il Paese.
In realtà, l’occupazione statunitense (contrassegnata da esecuzioni sommarie e episodi di razzismo) servì a controllare molte istituzioni locali, compreso le banche e la tesoreria nazionale. Peraltro, durante tale periodo il 40% del reddito nazionale haitiano venne utilizzato per pagare i debiti alle banche francesi e statunitensi. Alcuni studiosi ritengono che se Haiti non avesse dovuto pagare i “risarcimenti” in questione la sua economia conterebbe oggi circa 21 miliardi di dollari in più: un dato che avrebbe garantito un futuro ben diverso a quel Paese.
Le cose non cambiarono neppure dopo il secondo conflitto mondiale. È in questo clima invivibile dal punto di vista sociale e politico che nacquero le prime forze paramilitari, a cominciare da quella creata dal presidente-dittatore François Duvalier, denominata Tonton Macoute: una sorta di polizia segreta e guardia personale fuori dalla legalità, utilizzata dal presidente per sopprimere ogni opposizione. I macoutes continuarono a imperversare anche negli anni in cui al potere fu il figlio di François Duvalier, Jean Claude (sino al 1986), e in quelli seguenti, fino a giungere agli anni Novanta e oltre.
Le bande armate hanno continuato ad operare a sostegno di diversi partiti politici e, in diversi casi, sono diventate la base delle attuali gang (circa 200) che imperversano oggi ad Haiti, per lo più concentrate nella capitale. Non ci sarà da rimanere sorpresi, pertanto, se nelle circostanze attuali – come ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres – si manifesterà il «bisogno di un’azione armata per consentire la creazione di corridoi umanitari». Un’azione che – si spera – non porti con sé anche gli ignobili episodi di abusi sessuali perpetrati dal contingente dell’ONU a danno di giovani haitiane, come avvenne all’indomani della missione “Minustah” conclusasi nel 2017.
Raffaele Callia