Sabato 25 gennaio, per la quarta volta in 38 anni, Terralba ha ospitato la marcia della pace. Testimone di questa edizione è stato mons. Cesar Essayan, Vicario apostolico della Chiesa latina in Libano, un Paese tristemente coinvolto nella guerra in atto tra lo Stato di Israele e Hezbollah, l’organizzazione paramilitare islamista sciita.
A conclusione della Marcia, che si è svolta lungo le vie del comune oristanese fino alla concattedrale di San Pietro, si è tenuto un momento di preghiera per la pace. A offrire una riflessione dai profondi contenuti evangelici e ricca di testimonianza personale è stato proprio mons. Essayan.
Nato il 27 maggio 1962 a Sayda, in Libano, dopo gli studi preliminari e secondari al Collegio dei Fratelli Maristi, ha seguito i corsi di Ingegneria presso l’Università “Saint Joseph”. Nel 1986 è entrato nell’Ordine francescano dei minori conventuali. Ha frequentato Filosofia e Teologia presso l’Università “San Bonaventura”, a Roma. Dopo il noviziato, a Padova, ha emesso i voti temporanei l’8 settembre 1988 e quelli perpetui il 21 settembre 1993. È stato ordinato sacerdote il 17 aprile 1993. Il 2 agosto 2016 (all’epoca Padre Essayan era Custode Provinciale del Libano), dopo la rinuncia di mons. Paul Dahdah, Papa Francesco lo ha nominato Vicario Apostolico di Bairut (Libano), assegnandogli la sede titolare vescovile di Mareotes.
Mons. Essayan, nella sua riflessione proposta in occasione della Marcia della pace, ha ricordato come proprio quest’anno ricorre il 50° anniversario dello scoppio della guerra civile in Libano, un piccolo Paese di soli 10.452 chilometri quadrati che ha saputo superare varie crisi – anche grazie alla presenza dei militari italiani, impegnati in missioni di pace – e fare della convivenza delle differenze culturali e religiose una caratteristica peculiare. Non a caso, ha ricordato mons. Essayan, «è stato definito da Papa Giovanni Paolo II come “un messaggio”, non solo per il Medio Oriente ma per il mondo intero». Ed è proprio quel “messaggio”, ha precisato il Vicario Apostolico del Libano, «che ancora oggi vogliamo annunciare e difendere: il messaggio di un Libano che rinasce dalle sue ceneri ogni volta che sanguina, fino a morire. Parlare del Libano e del suo popolo è raccontare la Salvezza che si attua quando il Vangelo viene preso sul serio, malgrado tutto».
Nella sua testimonianza mons. Essayan ha ricordato che in Libano, in tutti questi anni e anche recentemente «le porte delle chiese e degli istituti religiosi sono rimaste sempre aperte per tutti, senza distinzione di appartenenza religiosa e culturale». Guidati dal Vangelo della Carità i cristiani hanno dato prova di fedeltà all’insegnamento del Signore Gesù, accogliendo quanti hanno avuto bisogno; anche quando ciò è avvenuto in modo problematico e in circostanze di particolare tensione. Così è avvenuto anche recentemente nei confronti dei profughi del Sud del Libano, nelle settimane di conflitto con l’esercito israeliano.
L’auspicio, ha precisato mons. Essayan – il quale è nato in una famiglia armeno-ortodossa, è cresciuto nei Fratelli Maristi, ha frequentato la Chiesa maronita ed è imparentato con dei mussulmani – è che il Libano in questo 2025 possa continuare ad essere un “messaggio di pace” per tutto il mondo, secondo la definizione datane da San Giovanni Paolo II, proprio perché da sempre crocevia di tante fedi, di tante religioni, di tante culture e di tanti popoli.
Raffaele Callia