All’interno degli “Orti solidali di comunità” nasce la “Casa degli Orti”

Nonostante le difficoltà registrate lo scorso anno a causa della pandemia, grazie al contributo dei Fondi CEI 8xmille Italia per l’anno 2020 è stato possibile potenziare il progetto degli “Orti solidali di comunità”.

Il contributo ha consentito di ultimare i lavori relativi al fabbricato rurale che insiste nel terreno dove ha luogo il progetto (località Montisantu, a Iglesias), il quale ospita in modo stabile 6/7 persone, tra coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto cittadini (Iglesias) o che usufruiscono del servizio dell’Emporio della solidarietà. Il fabbricato è divenuto un luogo accogliente e funzionale, abitabile per le persone che quotidianamente prestano servizio nel progetto, consentendo di sviluppare, oltre le attività consuete di lavoro, momenti di socializzazione, convivialità e rinforzo di competenze.

Fin dagli esordi del progetto degli “Orti solidali di comunità” la Caritas diocesana ha ritenuto indispensabile dotarsi di un luogo fisico dove potersi intrattenere, anche oltre l’orario di lavoro, per proporre una serie di iniziative e attività di carattere eminentemente educativo. È nata così “Casa degli orti”, che a breve sarà segnalata da una targa/insegna che la identificherà per la comunità come opera segno della diocesi di Iglesias.

L’avvenuta trasformazione permette oggi ai partecipanti del progetto, ossia la comunità di lavoro che si è creata in questi anni, di trascorrere intere giornate presso il terreno degli Orti solidali, dando l’opportunità di condividere un pranzo tra i lavoratori che prestano servizio (operatori e beneficiari). Il dopopranzo, sbrigati gli ultimi compiti lavorativi, come ad esempio l’innaffiatura delle sementi e delle colture, la sistemazione delle attrezzature e i controlli tra i filari, il gruppo si ritrova all’interno della “Casa degli orti” per pianificare le incombenze del giorno seguente. Non è tutto, questi momenti, che si svolgono sempre in modo naturale senza alcuna asimmetria tra operatori e beneficiari divengono l’occasione per incoraggiare l’entusiasmo e rinforzare quelle abilità, non di rado di tipo trasversale, che emergono durante una lunga giornata di lavoro e che si sceglie di restituire ai protagonisti perché esse possano inscriversi giorno dopo giorno nel codice di comportamento, andando a sostenere il protagonismo socio-personale dei diretti interessati in vari settori della vita affettiva, lavorativa e relazionale.

La “Casa degli orti” mostra oggi tutte le potenzialità per cui ci si è impegnati, dato che possiede una cucina, con angolo cottura, posti a sedere (tavoli e sede), i mobili pensili ed elettrodomestici e, in un secondo ambiente, un tavolo riunione, una scrivania e gli arredi tipici di una stanza/ufficio.

È evidente come l’importanza di questo impegno richieda una condivisione tra operatori presenti sul campo e coordinatori/supervisori del progetto. Da questo punto di vista si è dato vita, già da anni, ad una sorta di cabina di regia, luogo deputato a orientare gli accompagnamenti socio-educativi che si è deciso di mantenere nelle forme della mimetizzazione all’interno delle attività giornaliere, per essere affidati ad operatori (tutor dell’accompagnamento) che li mettano in atto approfittando delle occasioni che scaturiscono dalle naturali interazioni umane e lavorative. Questo è il motivo che ha indotto ad investire sulla responsabilità di ruolo ed educativa dei tre operatori attualmente in forza presso i progetti CEI 8xmille. In questa prospettiva, la sinergia tra il progetto “Orti solidali di comunità” ed “Emporio della solidarietà” appare naturalmente come un connubio educativo, mediante il quale viene condiviso l’obiettivo di portare le forme dell’accompagnamento e lo stile educativo, con le stesse intenzionalità e senza distinzioni, in entrambi gli ambiti dell’impegno della Caritas diocesana.

Nell’ultimo anno l’azione progettuale ha potuto registrare questi importanti cambiamenti:

  1. mettere a disposizione un luogo (“La Casa degli orti”) confortevole, accogliente e funzionale allo svolgimento delle pratiche di responsabilità educativa fondate sul principio della massima condivisione e dell’aiuto a percepirsi (operatori e beneficiari) accomunati dallo stesso cammino di crescita e sviluppo di competenze;
  2. prolungare le giornate di lavoro, comprendendo anche il pomeriggio. Ciò ha delle ricadute sui volumi di produzione delle colture (ortaggi e frutta), fattore che andrà ad incidere sulla conseguente capacità di aiuto che il progetto potrà esprimere nei prossimi mesi;
  3. incidere a livello educativo, in particolare formando una squadra di intervento (coordinamento) che chiama in causa in modo diretto i tre operatori dei progetti (tutor d’accompagnamento), i quali lavorano per una condivisione piena di codici comunicativi, stili e contenuti ispirati all’accompagnamento socio-educativo.

In questo anno, reso ancora più difficile dalla pandemia, i due servizi in questione (Orti solidali ed Emporio) non hanno mai interrotto del tutto le attività, consentendo alle persone che vi si accostano, portatori di bisogni diversificati, tra questi anche bisogni di salute, di trovare, ad esempio nel lavoro all’aria aperta, un’utile occupazione e un modo di offrire a se stessi sollievo rispetto ad una realtà circostante in alcuni casi drammatica, angosciante e carica di incertezze.

Un’ultima breve notazione: gli arredi con cui si è voluto caratterizzare la “Casa degli orti” sono stati commissionati ad un artigiano del legno designer. Tale opzione è stata ritenuta perfettamente in linea con lo spirito del progetto, che fa della tutela dell’ambiente e della valorizzazione del biologico uno dei suoi capisaldi.

Dal “naufragio” della superlega al naufragio dei migranti

Nel giro di pochi giorni si è passati dalla farsa di un “naufragio” virtuale, che in teoria avrebbe dovuto riguardare il mondo del calcio e che in verità con lo sport ha poco a che fare, alla tragedia concreta – drammaticamente concreta – del naufragio e della conseguente morte di 130 persone a bordo un gommone al largo della Libia.

Il primo è il naufragio di un progetto concepito da ricchi per società ricche e finalizzato ad accrescere i profitti. Il secondo, invece, racconta la morte tragica di persone povere desiderose solo di vivere dignitosamente; una morte rispetto a cui non dovremmo mai smettere di provare vergogna, col rischio per nulla remoto di assuefarci al disumano e in qualche modo finire per “normalizzarlo”.

Il progetto della “Superlega”, vale a dire l’idea di costituire chiaramente una conventio ad excludendum da parte delle società calcistiche dotate di maggiore disponibilità finanziaria, era volta a sganciarsi “dai rispettivi campionati nazionali, dove hanno giocato da sempre, per fargli disputare un campionato continentale a loro soltanto riservato” (sono le parole non di un giornalista sportivo ma dello storico Ernesto Galli della Loggia, sulle pagine del Corriere della Sera). Ebbene, tale progetto è andato in fumo nel giro di poche ore, ma restano inevitabilmente impresse nella mente le immagini dei protagonisti e le loro dichiarazioni: immagini e parole impastate di arroganza, di assurdo distacco dalla realtà e distanti anni luce dal pathos agonistico di chi crede ancora nello sport come a un insieme di passioni e valori positivi, che includono tutti e non escludono i più piccoli, che offrono opportunità di crescita e non impongono criteri che riecheggiano il censo di antica memoria.

Il secondo naufragio è un violentissimo pugno nello stomaco: un’ennesima tragedia umana incomprensibile e ingiustificabile, che suscita commozione, repulsione e vergogna; una sorta di coazione a ripetere – in verità del tutto conscia – che porta tutti noi, per l’ennesima volta, a un’assurda deriva rispetto al senso di umanità.

Le ore, le interviste e gli articoli dedicati alla “Superlega” superano abbondantemente quanto è stato riservato a questa tragedia: giusto il tempo necessario per consumare la consueta retorica sul rimpallo delle responsabilità e sul senso di impotenza. Tutto deve scorrere rapidamente: il calcio, le notizie riguardanti le società sportive; ma anche la disperazione, la tragedia, la morte. La cronaca quotidiana  dell’emergenza Covid ci ha riportato immediatamente sotto i suoi riflettori e ci ha fatto tirare il fiato, con composto sentimento di appartenenza nazionale, per lo “scampato pericolo” di vederci sottratto il “campionato dei nostri padri!”.

Si rimane impietriti di fronte a questo enorme paradosso, ma questo non può e non deve bastare. Quale destino potrà avere una società che non trova più il tempo per elaborare il lutto, il proprio lutto di esseri umani? Che cosa rischiamo di diventare se neanche l’immagine di quei corpi galleggianti, abbandonati a sé stessi, non è più in grado di farci piangere? Cosa si deve fare per evitare di precipitare ancora una volta nell’abisso del disumano?

Raffaele Callia

L’economia europea messa alla prova dalla crisi pandemica

Per effetto della pandemia da COVID-19, nel primo semestre del 2020 l’attività economica dell’area euro ha subito una brusca contrazione (con una diminuzione annua del PIL del 6,6% rispetto al 2019), mentre nel secondo semestre ha registrato una parziale ripresa. Anche l’inflazione è diminuita a motivo delle ripercussioni provocate dalla pandemia: nella media del 2020, infatti, l’inflazione nell’area euro è scesa allo 0,3% dall’1,2% del 2019.

A certificarlo è la Banca Centrale Europea, che ha recentemente pubblicato il suo Rapporto annuale proponendo statistiche e riflessioni macroeconomiche di particolare importanza. “Nella prima metà dell’anno – scrive il presidente della BCE Christine Lagarde nella presentazione – l’attività economica si è contratta bruscamente a seguito delle misure di confinamento e della più elevata avversione al rischio”.

Nel Rapporto si legge che il coronavirus ha provocato la più ampia contrazione dell’economia mondiale dopo la “Grande depressione”. L’economia internazionale, infatti, è stata colpita da una profonda recessione causata proprio dalla diffusione del virus e dalle misure poste in essere per favorire il contenimento del contagio. “La prima ondata della pandemia – precisa il Rapporto – ha colpito i Paesi dell’area dell’euro principalmente tra marzo e aprile, a una velocità e con un’intensità senza precedenti, e nella maggior parte dei Paesi è stata accompagnata da rigide misure di contenimento che hanno interessato l’intera economia. In conseguenza di tali misure, nel primo semestre del 2020 l’attività economica dell’area dell’euro ha registrato una contrazione cumulata pari al 15,3 per cento. Il contenimento della pandemia e la revoca delle misure restrittive, intervenuti a partire da maggio 2020 nella maggior parte dei paesi, hanno determinato una forte ripresa dell’attività nel terzo trimestre. In autunno, tuttavia, l’attività economica ha ricominciato a rallentare e la nuova impennata dei contagi ha provocato un’ulteriore serie di lockdown nell’ultimo trimestre dell’anno, sebbene più mirati rispetto a quelli introdotti durante la prima ondata”.

Grazie all’azione portata avanti dalla Banca Centrale Europea nell’orientare la politica monetaria e stabilizzare i mercati, secondo il presidente Lagarde è stato possibile “contrastare l’impatto avverso della pandemia sull’economica dell’area dell’euro, adottando un insieme articolato di misure che nel corso dell’anno sono state ricalibrate”. Fra queste misure si segnalano, in particolare, l’allentamento dei criteri di idoneità e di altri requisiti applicabili alle garanzie e l’introduzione di un nuovo programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica.

Tra i numerosi effetti causati dalla pandemia da COVID-19, si legge nello studio prodotto dalla BCE, “uno dei più pervasivi è stato un livello di incertezza senza precedenti, non solo per l’economia e per la società in senso ampio, ma anche per i singoli individui, nei quali ha generato ansia e spesso confusione. In circostanze del genere – precisa il Rapporto – una comunicazione affidabile, basata sui fatti, chiara e tempestiva da parte delle autorità pubbliche è fondamentale per fornire informazioni di vitale importanza e infondere fiducia”.

Raffaele Callia

Maria Marongiu, vicedirettore della Caritas diocesana, è tornata alla casa del Padre

Umanamente addolorati e obbedienti alla volontà del Signore, il direttore, gli operatori e tutti i volontari della Caritas diocesana di Iglesias annunciano la nascita alla vita nuova e definitiva della cara Maria Marongiu, vicedirettore della Caritas diocesana. Accompagnandola nel suo ultimo viaggio terreno con le preghiere, quanti l’hanno amata e stimata ringraziano il Signore per il dono della sua vita e per il suo generoso servizio ai poveri.

La Caritas diocesana è vicina con la preghiera ai familiari e agli amici di Maria. Il Signore risorto doni a tutti la grazia della consolazione della fede in Lui.

Nata a Carbonia il 6 giugno 1952, insegnante in pensione da diversi anni, Maria Marongiu, dopo un lungo periodo di impegno nell’ambito dell’amministrazione comunale di Carbonia (come vicesindaco e assessore alle politiche sociali), ha svolto il proprio servizio ecclesiale nell’ambito della Caritas diocesana di Iglesias (in passato anche con l’Azione cattolica) dapprima come coordinatrice del Centro di ascolto “Madonna del Buon Consiglio” di Carbonia e successivamente anche come referente dell’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse. Inoltre, dal 1° ottobre 2020, aveva cominciato il suo prezioso servizio di vicedirettore della Caritas diocesana.

Il suo impegno e il suo servizio continueranno a vivere nella testimonianza della Carità cui è chiamata ogni giorno la grande famiglia degli operatori della Caritas.

 

Consulta la pagina dedicata a Maria Marongiu del settimanale
Sulcis Iglesiente Oggi (anno XXII, 18.04.2021, n. 12)

Donazioni dalla Conad Nord Ovest alla Caritas di Iglesias

La Caritas diocesana di Iglesias, a nome delle famiglie beneficiarie in condizione di bisogno, ringrazia la Conad Nord Ovest per la donazione già ricevuta in risorse economiche per acquisto di viveri (pari a euro 5.000,00) e in carte acquisti, che giungeranno a breve (per un valore complessivo di euro 8.220,00). In tutto pertanto, la Conad Nord Ovest provvederà ad erogare un aiuto per un importo totale di euro 13.220,00.

La donazione ha riguardato anche altre Caritas diocesane della Sardegna, come si evince dal testo del comunicato stampa pubblicato il 10 aprile dalla stessa Conad Nord Ovest.


101.500 euro da Conad Nord Ovest a Caritas Italiana per la Sardegna.
Pari a oltre 25.000 pasti per 1700 famiglie,
sono un aiuto concreto per chi si trova difficoltà economica

Pistoia, 7 aprile 2021 – Secondo l’ultimo report dell’Istat sull’anno appena passato, in Italia ci sono ulteriori 955mila famiglie numerose in stato di povertà rispetto al 2019, che non riescono a far fronte alle spese minime per condurre una vita dignitosa. Per far fronte a questa situazione, già a Natale scorso Conad Nord Ovest ha deciso di intervenire nelle regioni in cui la cooperativa è presente: ad oggi sono stati donati a Caritas Italiana complessivamente 632.500€, di cui 101.500€ – pari a oltre 25.000 pasti – sono stati destinati alle diocesi sarde nelle province di Cagliari, Iglesias, Sassari, Oristano e Nuoro, in aiuto di circa 1700 famiglie in difficoltà. L’iniziativa è un gesto solidale che ha caratterizzato tutte le attività collegate al 60° di Conad Nord Ovest. Un modo chiaro per dire “Grazie” alle comunità in cui i Soci della cooperativa sono presenti, e rinnovare l’impegno a sostenere i territori in cui operano.

“In Italia ci sono migliaia di famiglie in grande difficoltà, molte delle quali non più in grado di acquistare beni per sopravvivere. I dati drammatici che tutti abbiamo davanti agli occhi ci hanno spinto a intervenire concretamente aiutando più di 10.500 famiglie, con una donazione pari a 160.000 pasti – dichiara Valter Geri, presidente di Conad Nord Ovest. Celebrare i nostri primi 60 anni con azioni concrete per sostenere le comunità e ringraziare per la fiducia che i nostri clienti ci dimostrano quotidianamente, è stato del tutto naturale. 60 anni contraddistinti dai valori fondanti del nostro DNA: partecipazione e ascolto, solidarietà, responsabilità, impegno distintivo verso il cliente e la comunità. I nostri soci, ogni giorno si adoperano per una presenza attenta e partecipata; siamo quindi intervenuti con la speranza di aver portato sollievo in un momento tanto difficile”.

Commenta Raffaele Callia, delegato regionale Caritas: “c’è un grande sforzo anche in Sardegna da parte di tutte le Caritas diocesane, nel dare una risposta efficace alle richieste di aiuto, sia in termini morali, psicologici e relazionali, con un servizio di ascolto e orientamento che si è particolarmente intensificato in quest’ultimo anno, sia in termini di prossimità concreta attraverso gli aiuti alimentari, i sussidi economici, le consulenze legali, i farmaci, e tante altre iniziative frutto della “fantasia della carità”. Bisogna sottolineare che se è vero che si sono moltiplicati i problemi e le fragilità, è altrettanto vero che è cresciuta la solidarietà, anche nella nostra regione, di tante persone e di tante realtà imprenditoriali, anche della grande distribuzione. L’iniziativa di Conad Nord Ovest si inserisce proprio in questa direzione, rappresentando un segnale concreto di partecipazione solidale in questo difficile momento”.

La rete capillare delle Caritas diocesane è garanzia di un mirato intervento sul territorio, grazie al loro impegno quotidiano in favore delle famiglie che si trovano in difficoltà economiche.

Nel corso del 2020, dai monitoraggi condotti da Caritas Italiana presso la propria rete di 218 organismi diocesani è emerso che quasi il 50% delle persone incontrate presso i servizi Caritas non aveva mai richiesto aiuto prima.

A fronte di ciò, le attività dei 118 Empori della solidarietà dislocati in tutta Italia – dove le famiglie in difficoltà possono reperire gratuitamente generi di prima necessità – sono state intensificate, e in 136 diocesi sono stati potenziati i fondi destinati a venire incontro a chi per la pandemia ha perso il lavoro o non lo può trovare.

Donazioni Conad Nord Ovest per Caritas Sardegna

Provincia Donazione in euro
Sassari (diocesi di Sassari, Tempio-Ampurias, Alghero-Bosa) 38.200
Cagliari (diocesi di Cagliari) 34.120
Iglesias (diocesi di Iglesias) 13.220
Oristano (diocesi di Oristano e Ales-Terralba) 7.980
Nuoro (diocesi di Nuoro e Lanusei) 7.980
TOTALE 101.500

Scarica il COMUNICATO STAMPA CONAD

Tempo di ascolto e di speranza

Andrea Mantegna, La Resurrezione, tempera su tavola (1457-1459), Museo delle Belle Arti di Tours

È questa la seconda Pasqua segnata dalla sofferenza originata dalla pandemia. Già nell’estate scorsa i vescovi avevano offerto alla Chiesa italiana una riflessione dal titolo “È risorto il terzo giorno”: una lettura biblico-spirituale dell’esperienza della pandemia. Una meditazione utile anche per questa Pasqua 2021: l’esperienza del Venerdì e del Sabato – la permanenza del Figlio di Dio sulla croce e nel sepolcro – diventi un’esortazione a maturare un’esistenza diversa, da veri figli di Dio.

A noi cristiani è data la grazia di guardare ogni avvenimento della vita attraverso la lente del mistero pasquale, che culmina nell’annuncio che Cristo «è risorto il terzo giorno» (1Cor 15,4).
È tempo di ascoltare insieme la voce dello Spirito, che Gesù ci ha consegnato sulla croce (cf. Gv 19,30) e nel Cenacolo (cf. Gv 20,22).
Soprattutto nel celebrare il Triduo pasquale, ma anche ogni giorno della nostra vita, siamo chiamati ad accogliere il mistero della morte e il silenzio del sepolcro, senza mai chiuderci alla speranza della risurrezione.

Ci è chiesto di fare questa esperienza non solo attraverso l’ascolto della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti, ma anche nell’incontro con la sofferenza dei fratelli, vicini e lontani, intorno a noi.

La pandemia ha rivelato il dolore del mondo: ha prodotto sofferenza e ne produrrà anche in futuro, con conseguenze economiche e sociali vaste e persistenti. Si tratta di sofferenze profonde che non possiamo ignorare. È il mistero del male, che il Figlio di Dio ha voluto prendere su di sé.

Però sul Calvario c’è dell’altro. Nei pressi della croce, intorno a Gesù che offre per noi la sua vita, insieme a Maria, la Madre, ci sono alcune donne, il discepolo amato, il centurione, Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea: poche persone, certo, ma rappresentanti di un resto di umanità capace di “stare in piedi” sotto la croce (cf. Gv 19,25). Quel Venerdì si rivela così un giorno non solo di violenza e morte, ma anche di pietà e condivisione.

L’impegno della Chiesa e, in essa, la fatica amorevole delle Caritas in ogni parrocchia, diventano perciò un’occasione preziosa per vivere in profondità il mistero pasquale nella nostra vita, non solo come memoria storica della morte e risurrezione di Gesù, ma come esperienza della sua presenza di Crocifisso Risorto oggi in mezzo a noi.
Se sapremo vivere, leggere ed elaborare con vera carità l’esperienza di sofferenza nostra e dei nostri fratelli ascoltando lo Spirito e partecipando al mistero della Pasqua del Signore, allora anche questa pandemia ci avrà insegnato qualcosa di importante. Potremo così camminare come comunità ecclesiale sui passi dell’uomo del nostro tempo, animati da tenerezza e comprensione e da una speranza che non delude.

+ Giovanni Paolo Zedda
Vescovo di Iglesias

Storie di risalita nella luce del Risorto

La vita delle persone è un ineffabile e ineluttabile mistero. Avvolta ancor di più nel mistero è la storia delle loro sofferenze; delle prove quotidiane che si presentano lungo il cammino dell’esistenza.

Nel buio della prova si fa fatica a dare un senso, tant’è grande l’abisso che ci separa da una spiegazione razionale sul perché del male, della guerra, della malattia e della sofferenza; sul perché del distacco dalle persone care, sul perché della morte. Nel buio delle nostre ingannevoli certezze tutto sembra apparire confuso e senza spiegazione: non si comprendono la povertà, l’ingiustizia, la violenza; non si comprendono la solitudine, la malattia, la depressione; non si comprende la morte. Tutto sembra destinato a rimanere immobile, in un buio immanente e senza via d’uscita. Anche per quanti credono, con una fede forse un po’ troppo tiepida, la stessa Croce rischia di rimanere un mistero “assurdo” e dunque stonato, privo di ogni logica.

Per chi riceve la grazia di una fede che si alimenta quotidianamente della fiamma della speranza e che si fa trasformare nel crogiolo della carità, quella condizione di buio acquista per sua natura un senso profondo e trascendente. L’abisso dell’assurdo si trasforma così in una ricerca paziente di un pellegrinaggio quotidiano che, in compagnia del Signore Gesù, non evita il Golgota, ma neppure intende fermarsi ad esso e neanche desidera sostare più del necessario nel buio del sepolcro. Va oltre. Chi riceve la grazia della fede fa come farebbe un bambino nel buio di una notte che sembra non finire mai: si affida, anzi si abbandona totalmente alla protezione paterna e materna; alla protezione della misericordia di Dio. La grazia della fede ci affida la certezza che dopo ogni caduta nel buio del non senso è possibile rialzarsi nella luce del Risorto.

Le storie di vita che gli operatori Caritas sono chiamati ad ascoltare e ad accogliere, alcune delle quali sono narrate anche in questo numero di Impegno Caritas, restituiscono un’immagine che ci permette di tornare al cuore della fede, anche in questo tempo persistente e incerto di pandemia. No, non siamo mai soli, neanche nelle prove più dure, poiché il Signore Gesù ha tolto alla morte l’ultima parola. Ecco, sarebbe bello se quando ci faremo gli auguri per la Pasqua – di buona Pasqua di Resurrezione del Signore Gesù – ci ricordassimo di questo.

Raffaele Callia

Tratto da Impegno Caritas, n. 2, marzo 2021. L’intero numero è consultabile al link: https://impegnocaritas.wixsite.com/newsletter-2

La gioia del ritorno in servizio

Gesù e la samaritana al pozzo di Giacobbe (mosaico di P. Marko Rupnik presso la Cappella della Casa incontri cristiani di Capiago)

L’arrivo del Covid-19 ha messo alla prova molti giovani. Seppur indaffarati nel loro frenetico mondo fatto di studio, relazioni amicali e familiari, anch’essi hanno assistito a uno stravolgimento della propria vita. «Non avrei mai immaginato quello che poi è successo» racconta Aurora Fonnesu, giovane volontaria e referente dell’Area Immigrazione, impegnata da anni presso il Centro di ascolto Il Pozzo di Giacobbe, un servizio per stranieri della Caritas diocesana di Iglesias. «All’inizio della pandemia le informazioni erano estremamente confuse, alcune volte contraddittorie; nelle settimane precedenti il primo confinamento non avevo una percezione chiara».

Aurora ha proseguito per qualche settimana nel proprio impegno, fino a quando le è stato possibile. «Era mia intenzione, durante il lockdown, continuare a prestare servizio presso il Centro d’ascolto; purtroppo però i miei familiari, molto preoccupati per la situazione generale, mi hanno chiesto espressamente di interrompere il servizio per la durata del confinamento». Aurora si è quindi trovata suo malgrado di fronte a un bivio: da un lato avrebbe voluto accogliere i fratelli stranieri, ancora più provati e fragili proprio a causa della pandemia; dall’altro pensava che sarebbe stato giusto assecondare la richiesta della sua famiglia, in apprensione per il rischio di contagio. «Questa situazione mi ha creato un grosso conflitto interiore: una prova personale all’interno della prova complessiva data dalla pandemia. A malincuore ho dovuto sospendere temporaneamente il mio servizio».

Con l’arrivo dell’estate e un relativo miglioramento riguardo ai contagi Aurora ha finalmente ripreso regolarmente il proprio impegno nel Centro di ascolto, superando le paure e aprendosi ai bisogni degli altri. Ricorda con entusiasmo quel giorno: «È stato per me come un parziale ritorno alla normalità. Ho vissuto questo avvenimento con grande sollievo perché potevo tornare a dimostrare la mia vicinanza ai nostri fratelli stranieri». Con l’inizio del nuovo anno pastorale le operatrici del Pozzo di Giacobbe hanno ripreso le attività con maggiore determinazione, provando a garantire costantemente accoglienza e accompagnamento agli stranieri. «Come gruppo – precisa Aurora – abbiamo colto questa sfortunata occasione per migliorare la qualità del servizio che forniamo e curare maggiormente i rapporti con le persone e le istituzioni». Aurora non dimentica il difficile periodo trascorso ma vuole guardare avanti, proseguendo con maggiore determinazione il proprio servizio in favore dei fratelli stranieri.

Emanuela Frau

Tratto da Impegno Caritas, n. 2, marzo 2021. L’intero numero è consultabile al link: https://impegnocaritas.wixsite.com/newsletter-2

Siria, dieci anni dopo l’inizio della guerra

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Sono trascorsi 10 anni esatti da quando la cosiddetta “primavera araba” è fiorita e repentinamente avvizzita in Siria, portandosi dietro una tristissima contabilità di distruzione, morte, profughi e instabilità politica. La voce del popolo siriano, che chiedeva libertà, dignità e giustizia, è stata soffocata brutalmente nel sangue in una violenza che continua a persistere da ben due lustri, tradendo le aspettative di chi pensava che anche a Damasco si sarebbe instaurato finalmente un regime democratico.

A dieci anni di distanza sono oltre 6 milioni e mezzo i siriani che hanno trovato rifugio al di fuori del proprio Paese; sono circa 6 milioni e 700 mila gli sfollati, ovverosia costretti a fuggire all’interno dei confini nazionali. Dopo dieci anni di guerra hanno perso la vita tra le 400.000 e le 500.000 persone e sono circa 13 milioni e 400 mila coloro che necessitano di assistenza umanitaria a causa della guerra.

Nella circostanza di questo tristissimo decennio per la Siria, Caritas Italiana ha pubblicato un dossier con dati e testimonianze dal titolo “La speranza del ritorno. Dieci anni di guerra, fra violenze, distruzione e vite sospese”. Con tale strumento, come si legge nelle pagine del dossier, si è inteso “riavvolgere il nastro per ricostruire il quadro d’insieme”, così da permettere almeno di “immaginare delle vie di uscita possibili dalla crisi […] in grado di portare a una pace duratura, alla ripresa economica del Paese e al rientro volontario di tutti quei siriani che sognano di tornare nelle proprie case”.

Il decennio della guerra siriana offre anche l’occasione per ricordare come si sono sviluppate le “primavere arabe”, in un’area geo-politica che si estende dal Maghreb tunisino a Damasco, passando per la Libia e l’Egitto, scendendo fino alla parte più meridionale della penisola arabica, ove si è innescato un altro scenario drammatico fatto di guerra e crisi umanitarie qual è appunto lo Yemen.

Nell’estate del 2010 fu l’Egitto a registrare le proteste delle classi dirigenti per l’intenzione dell’allora presidente Mubarak, il quale, come un moderno faraone noncurante dell’istituzione repubblicana, intendeva nominare suo figlio Gamal quale successore. Nel dicembre dello stesso anno toccò alla Tunisia, dove un giovane venditore ambulante si dette fuoco per protestare contro l’ennesima confisca del suo carretto utilizzato per vendere le mercanzie. La reazione della popolazione fu talmente compatta in tutto il Paese, al culmine di una sopportazione durata anni, che il 14 gennaio 2011 il presidente Ben Ali dovette fuggire in Arabia Saudita. L’11 febbraio anche il presidente Mubarak rassegnò le dimissioni. Nel corso del 2011 anche la Libia voltò le spalle a Gheddafi, mentre in Yemen, un anno dopo, il presidente Ali Abdullah Saleh fu costretto ad abbandonare un potere ventennale. Insomma, tutto lasciava presagire che ci sarebbe stata una svolta decisiva nei regimi politici e nella società di questi Paesi.

Anche in Siria, dunque, la speranza di buona parte della società civile era che il regime pluridecennale della famiglia Assad fosse oramai giunto al capolinea. Non fu così. Come si legge nel dossier della Caritas Italiana, “l’energia dei manifestanti si scontro, ovunque, con una realtà amara e complessa”. Le manifestazioni iniziate nel marzo del 2011 “assunsero il volto di una rivoluzione volta al rovesciamento del regime di Bashar al-As­sad; una rivoluzione tradita e fallita, trasfor­matasi in breve tempo in una piccola guerra mondiale che ha visto in campo forze turche, iraniane, russe e americane, oltre ai contendenti “locali” e cioè l’esercito lealista di Bashar Al Assad e le varie milizie autoctone, dai curdi del nord-est ai miliziani jihadisti di vario co­lore o estrazione”.

Ancora oggi la Siria continua a subire il drammatico costo di questo conflitto. Come in ogni guerra, a pagarlo è soprattutto la popolazione civile, che spera di tornare al più presto a vivere in pace nel proprio Paese.

Raffaele Callia

Povertà e conseguenze economiche della pandemia

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Com’era facile prevedere, le conseguenze economiche dei diversi e prolungati periodi di confinamento, a seguito dei necessari provvedimenti volti a contenere la diffusione del virus fin dall’insorgere della pandemia, stanno producendo una crescita delle situazioni di fragilità tra le famiglie italiane.

Dopo essersi giustamente soffermati sulle difficoltà registrate nell’ambito della sfera psicologica e relazionale, con l’impossibilità di vivere ordinariamente la vita sociale e le dinamiche affettive (di pari passo con l’aumento dei casi di violenza domestica), gli studiosi cominciano a fare il punto anche sulle fragilità riguardanti l’ambito socio-economico.

In altri termini, dopo aver generato e moltiplicato fenomeni quali la “sindrome della capanna”, le non poche problematiche legate alla didattica a distanza, le fragilità psicologiche e morali di chi vive il problema della solitudine (a cominciare dagli anziani), la pandemia ha presentato il conto anche in termini di fragilità economiche, soprattutto tra i lavoratori precari, i giovani e gli stranieri.

A fornire una fotografia aggiornata e allo stesso tempo problematica è stato l’Istituto nazionale di statistica, il quale, sulla base delle stime preliminari circa la povertà assoluta in Italia per l’anno 2020, il 4 marzo scorso (in anticipo rispetto al consueto appuntamento annuale di giugno) ha pubblicato uno studio in cui emerge chiaramente come la povertà sia tornata a crescere nuovamente, azzerando sostanzialmente i miglioramenti registrati nel 2019 e raggiungendo il valore più elevato dal 2005.

Nel 2020, secondo l’Istat, l’incidenza della povertà assoluta risulta in aumento sia in termini familiari (passando dal 6,4% al 7,7%, pari a 335.000 famiglie in più) sia in termini di individui (dal 7,7% al 9,4%, con oltre 1.000.000 di persone in più). Tale incremento porta a oltre 2.000.000 il numero di famiglie italiane (pari a circa 5,6 milioni di persone) che si trova in condizioni di povertà assoluta.

Se il 2019 era stato contrassegnato da una diminuzione della povertà (tra i cali più significativi quello registrato in Sardegna, con una diminuzione del numero delle famiglie in condizione di povertà relativa, passato da 141.000 a 94.000), il 2020 registra purtroppo una ripresa con intensità elevata, che neppure la sussistenza delle misure volte a favorire un sostegno economico integrativo dei redditi familiari (si pensi, ad esempio, al Reddito di Cittadinanza o alla Pensione di Cittadinanza) è stata in grado di contrastare.

Va precisato che gli effetti socio-economici della pandemia hanno colpito tutti, seppure con intensità e in modi diversi. I dati forniti dall’Istat parlano di un aumentato rischio di povertà per le famiglie con figli e con persona di riferimento occupata (più contenuti gli effetti per i pensionati); per le famiglie composte sia da italiani sia da stranieri, ma segnatamente per questi ultimi. I giovani, poi, ancora una volta risultano essere tra le categorie più vulnerabili. In altri termini la crisi pandemica ha colpito sostanzialmente le stesse tipologie già vulnerate dalle crisi precedenti, compresa quella finanziaria.

Il rischio di povertà è aumentato in particolare al Nord Italia, un’area in cui il numero dei nuclei familiari in povertà è cresciuto di circa 218.000 unità nel corso del 2020 (pari a circa il 65% dell’incremento su scala nazionale). Tale peculiarità geografica si spiega per il fatto che proprio al Nord si concentrano i più significativi livelli occupazionali nel settore privato (nel Sud è maggiore la rilevanza degli stipendi pubblici), vale a dire quelli che hanno subito in modo pesante gli effetti del confinamento. Inoltre, essendo omogenei per territori gli importi erogati dal Reddito di Cittadinanza, il differente costo della vita rende più efficaci tali misure al Sud piuttosto che al Settentrione d’Italia. Sempre al Nord, peraltro, si concentra il maggior numero di residenti stranieri, le cui famiglie – come già rilevato – sono state colpite in modo particolare dagli effetti socio-economici della pandemia.

Raffaele Callia