Ecologia integrale, paradigma di pace e di sviluppo umano

La responsabilità di tutti nella cura del pianeta

È noto come al centro delle preoccupazioni di Papa Francesco vi sia il destino della persona integralmente considerata e del suo rapporto con il creato, in un momento particolarmente difficile anche a causa della pandemia. Le conseguenze di quest’ultima sulla società e sulle persone sono le cose di cui dobbiamo preoccuparci ed è anche per questo motivo che siamo chiamati a promuovere un “cambiamento di sistema”, creando un’economia inclusiva e riconoscendo il diverso valore di ogni individuo.

Di questo, e di altri temi, si è discusso domenica 21 febbraio a Terralba, in occasione dell’appuntamento formativo annuale promosso dal Gruppo Regionale di Educazione alla pace alla Mondialità (GREM) della Caritas Sardegna, consentendo anche ai volontari che non hanno potuto partecipare in presenza di seguire l’evento su una piattaforma online.

La giornata, guidata dal tema “Ecologia integrale, paradigma di pace e sviluppo umano, custodia del Creato tra servitù e cultura dello scarto”, è iniziata con un’introduzione a cura di Massimo Pallottino, di Caritas Italiana. Il suo contributo è servito a riflettere su come le disuguaglianze si siano aggravate con l’avvento del coronavirus. Sono un caso particolare ed emergente, negli ultimi tempi, le disuguaglianze derivanti dai diritti di proprietà intellettuale. A marzo, quando si incontrerà il G20, il “Civil 20” (di cui fa parte anche Caritas Italiana) ci sarà l’occasione per chiedere ai grandi della terra di rivedere questi vincoli nella prospettiva di una tutela per le persone e le popolazioni più fragili. A questo proposito, Massimo Pallottino ha citato un esempio molto concreto: il caso di una valvola respiratoria dal valore economico di 10.000 dollari che è mancata in un reparto di rianimazione, proprio nel primo periodo dell’emergenza sanitaria. I medici contattarono l’azienda che le produce, ma il fornitore comunicò che non era possibile realizzarle in tempi brevi; si studiarono tutte le soluzioni e, alla fine, a qualcuno venne l’idea decisiva: utilizzare una stampante 3D per riprodurre le valvole a tempo di record. La valvola fu così realizzata da un team di ingegneri italiani e al costo di 1 euro; tuttavia, gli stessi ingegneri furono denunciati dalla casa produttrice della valvola per aver violato i diritti di proprietà intellettuale. Ecco perché, da più parti, si chiede l’abolizione della proprietà intellettuale: per far in modo che tutti abbiamo la possibilità di tutelare la nostra salute.

La mattinata è proseguita con l’intervento di Francesco Manca, incaricato regionale della pastorale sociale e del lavoro. A lui è spettato il compito di tracciare un profilo economico della realtà sarda. È noto come i piani di rinascita si basavano sulla teoria economica dei poli di sviluppo. La nascita di percorsi industriali, la localizzazione territoriale espansa in gran parte della Sardegna, è stata, appunto, una concretizzazione dei piani di rinascita. Un tipico esempio è stato quello dell’industria di Portovesme nel Sulcis Iglesiente, nato in sostituzione dell’attività mineraria per esigenze di politiche territoriali. Questo sistema andò presto in crisi, sostenendo molte spese per localizzare delle imprese che hanno lasciato un grande inquinamento in diverse zone.  Oggi rimangono ampie aree inquinate in cui non si può più far nulla.

Alla crisi industriale, negli ultimi anni si è aggiunta anche la crisi finanziaria (e oggi sanitaria) che ha ulteriormente accompagnato il declino dell’economia regionale. Il PIL del 2019 è tornato indietro di 30 anni, pari a quello del 1991. I settori delle costruzioni, industria, turismo, commerciale ed agricolo, stanno pagando le conseguenze della pandemia e altri elementi di carattere socio-economico come lo spopolamento contribuiscono ad aggravare la situazione.  Oltretutto, stanno passando come buoni, aspetti culturali molto pericolosi come la convinzione diffusa che si possa vivere bene senza lavorare, dando più valore al consumo rispetto al lavoro. Il Reddito di Cittadinanza, ad esempio, è una ricchezza che non può essere sovrapposta al welfare in senso stretto, in quanto consente sì di avere un salario minimo garantito ma senza risolvere i problemi dell’occupazione.

Un altro tema importante è il ruolo dell’intelligenza artificiale, sempre più pervasivo nella società e che crea ripercussioni importanti soprattutto sul mercato del lavoro e sul settore terziario. C’è un livellamento culturale che deve essere oggetto di osservazione e, in particolare, l’intento di omogeneizzazione planetaria delle culture sta distruggendo le culture locali che andrebbero invece difese e valorizzate.

Per far ripartire l’Europa (e quindi anche l’Italia e la Sardegna), a seguito della pandemia da coronavirus, lo scorso luglio l’UE ha approvato il Next generation EU, noto in Italia come Recovery Fund o “Fondo per la ripresa”. Si tratta di un fondo speciale volto a finanziare la ripresa economica del vecchio continente nel triennio 2021-2023 con titoli di Stato europei (Recovery bond) che serviranno a sostenere progetti di riforma strutturali previsti dai Piani nazionali di riforme di ogni Paese: i Recovery Plan. Si prevede lo stanziamento di risorse importanti per passare alla transizione ecologica. Di tali risorse, circa 7,6 miliardi di euro potrebbero essere destinati alla Sardegna attraverso diversi progetti.

Il nuovo modello di sviluppo – che chiama in causa anche il tema dell’economia circolare – trova accoglienza alla luce delle considerazioni che la Chiesa ha elaborato negli ultimi anni, a partire dalle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti. È quindi necessario ambire ad un nuovo paradigma di sviluppo perché il modello in uso ha risposto solo al profitto e non ai temi quali la povertà, il lavoro, la libertà, la solidarietà, il bene comune e la questione ambientale. L’ambiente rappresenta per la Sardegna il cuore dello sviluppo economico e sociale e, per questo, il nuovo modello deve essere capace di ridefinire il rapporto tra economia ed ecosistema, verso un nuovo umanesimo e un percorso orientato al bene comune.

Sara Concas

Pena capitale, sconfitta per l’umanità

Lo scorso luglio si sono riaccesi i riflettori sulla questione della pena capitale, dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato l’ordine di un tribunale minore che aveva congelato le esecuzioni da quasi vent’anni. A livello federale, infatti, la moratoria delle condanne a morte era scattata nel 2003, sotto l’amministrazione Bush e, dall’epoca, nessun detenuto nel braccio della morte è stato più sottoposto ad iniezione letale. L’ex procuratore generale dell’amministrazione Trump, William Barr, ha dichiarato che “le esecuzioni delle condanne a morte rappresentano un dovere per il Governo federale, per le vittime e le loro famiglie”. Ad opporsi a questa “prassi”, però, non sono solo attivisti e gente comune; spesso, infatti, anche i parenti delle stesse vittime manifestano il loro dissenso nei confronti di una simile barbarie. Nel corso dell’ultimo anno si sono registrate le rivolte di alcuni detenuti, in agitazione per l’introduzione di nuove procedure, da parte del Dipartimento di Giustizia, che prevedevano la somministrazione di un solo potente farmaco (pentobarbital), tramite iniezione letale. Si tratta ovviamente di una grave sconfitta per le associazioni che da sempre si battono contro la pena capitale, soprattutto dopo le terribili vicende degli ultimi anni in cui molti condannati sono morti tra atroci sofferenze.

La triste storia di Lisa Montgomery mette a nudo la debolezza del “sistema Stati Uniti”, unico paese occidentale che continua ad applicare una pratica che, oltre a non rappresentare un deterrente, si configura come un macabro rito. Nata 52 anni fa, reclusa dal 2004 nel carcere di Terre Haute, in Indiana, per un omicidio particolarmente efferato, Lisa, prima donna ad essere giustiziata dopo 67 anni, è stata uccisa con iniezione letale lo scorso 13 gennaio. Tempo addietro l’esecuzione era stata sospesa sulla base di una perizia psichiatrica. I suoi legali sostenevano, infatti, che la giovane avesse un danno cerebrale e una grave malattia mentale dovuti ad una vita segnata, fin dalla tenera età, da abusi sessuali e violenze d’ogni genere. Si sperava che l’esecuzione potesse slittare dopo l’insediamento del neo eletto Biden, che avrebbe potuto graziarla commutando la pena; ma Trump, ancora in carica, si è rifiutato di bloccare le esecuzioni, nonostante la consueta interruzione nel periodo di transizione tra un presidente e l’altro; divenendo così il Presidente USA che ha accumulato più esecuzioni capitali (10 in totale), in oltre un secolo (dal 1896). Il Dipartimento di giustizia è andato, dunque, avanti programmando l’esecuzione di Lisa.

Nonostante il tema della pena capitale non sia stato toccato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali di novembre, con la ripresa delle esecuzioni l’ex inquilino della Casa Bianca ha voluto concretamente ribadire la sua posizione riguardo una “punizione” a cui attribuisce un “potere deterrente contro i crimini”. Oltre a Lisa, vittima innanzitutto di una società che ha preferito voltarsi dall’altra parte, anziché proteggerla, allontanandola dall’orrore che quotidianamente era costretta a vivere, si ricordano anche diversi casi di afroamericani condannati pur essendo riconosciuti non colpevoli dalla stessa giustizia statunitense.

Da tempo questa crudele pratica è stata abolita, o non è applicata, nella maggioranza degli stati del mondo. Il boia continua ad agire in diversi stati tra cui Arabia Saudita, Cina, Iraq, Bielorussia, India, Giappone, Corea del Nord e Iran. Quest’ ultimo paese, recentemente, ha scioccato l’opinione pubblica con l’esecuzione, per impiccagione, del giornalista “dissidente” iraniano, eseguita appena quattro giorni dopo che la Corte suprema aveva confermato la sua condanna a morte. Ruhollah Zam, questo il suo nome, esule in Francia dopo la repressione delle proteste del 2009, era stato rapito nel 2019, durante una visita in Iraq, dalle Guardie rivoluzionarie iraniane; riportato in Iran, contro la sua volontà, è stato condannato a morte lo scorso dicembre, con l’accusa di “spionaggio nei confronti di Israele e della Francia”, e per “reati contro la Repubblica islamica dell’Iran”; ovviamente senza poter aver nessun contatto con i suoi avvocati di fiducia e i parenti, al termine di un processo farsa, celebrato dal “Tribunale rivoluzionario di Teheran”.

Dopo secoli di dibattiti intorno al tema della pena capitale, la riflessione verte ancora sull’importanza del dono della vita, sull’urgenza di tutelarla sempre e comunque, contrapponendola all’esigenza di rispettare le “norme necessarie” a riparare il torto subito. Di fronte a disumani e crudeli castighi, sperimentiamo ancora oggi un’amara sconfitta che rende sempre attuale il pensiero di Cesare Beccaria, che nel 1764, nel Dei delitti e delle pene, ebbe a dire “Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità.”

Emanuela Frau

Esiti della colletta “Emergenza Bitti”

Foto tratta da La Nuova Sardegna

La diocesi di Iglesias ha versato, in data 6 febbraio 2021, sul conto appositamente istituito dalla diocesi di Nuoro, la somma di euro 5.000,00 per l’Emergenza Bitti, a seguito della colletta indetta domenica 13 dicembre 2020 a livello diocesano. Si tratta del frutto delle donazioni dei fedeli, tramite le parrocchie, e di privati cittadini.

Le piogge straordinarie di sabato 28 novembre 2020, oltre ai danni ingenti alle case e a diverse strutture produttive, hanno purtroppo comportato anche la perdita di vite umane. Ad essere colpita in modo particolare è stata la comunità di Bitti. La Diocesi di Nuoro, particolarmente coinvolta in questa vicenda nel registrare bisogni e fragilità della popolazione bittese, attraverso la Caritas diocesana sta opportunamente tenendo al corrente le Chiese particolari della nostra regione.

Il contributo raccolto dalla diocesi di Iglesias servirà a sostenere le iniziative solidaristiche della Caritas diocesana di Nuoro.

Verso il 50° anniversario Caritas Italiana: intervista al direttore don Soddu

Don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana

Continua il cammino di riflessione portato avanti da Caritas Italiana in vista del suo 50° anniversario (2 luglio 2021): un percorso segnato dalla pandemia, caratterizzato da nuove criticità e sfide da affrontare come spiega lo stesso direttore don Francesco Soddu, che stamattina ha partecipato all’incontro on line con la Delegazione regionale Caritas Sardegna.

Si è appena concluso un anno difficile, segnato dalla pandemia: quale bilancio?

«Fin dai primi giorni dell’emergenza Covid-19, Caritas Italiana e le Caritas diocesane hanno cercato di rinnovare, adattandolo alle necessità contingenti, il proprio modo di stare accanto agli ultimi e alle persone in difficoltà. Molte le risposte innovative e diversificate, mai sperimentate in precedenza. Ad esempio i servizi di ascolto e di accompagnamento telefonici, o l’ascolto organizzato all’aperto, la consegna di pasti a domicilio e la fornitura di pasti da asporto, in sostituzione o per alleggerire le tradizionali mense, la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti, la messa a disposizione di alloggi per i periodi di quarantena e isolamento, i servizi legati all’acquisto e distribuzione di farmaci e prodotti sanitari, i servizi di assistenza psicologica… Una vivacità di iniziative e opere, realizzate anche grazie alla disponibilità di volontari, alla solidarietà da parte di aziende, enti, negozi, supermercati, famiglie, singoli cittadini»

In che modo la pandemia ha inciso nel cammino di riflessione che Caritas Italiana sta portando avanti in vista del suo 50° anniversario?

«Non è stato purtroppo possibile realizzare il Convegno nazionale a Milano, ma stiamo proseguendo nel cammino verso il 50° proponendo nelle forme possibili con occasioni di confronto e di approfondimento a vari livelli, anche alla luce dell’enciclica “Fratelli tutti”, ricchissima di spunti anche per le attività della Caritas. Sono proseguite inoltre, in modalità on line, le iniziative di accompagnamento e confronto con le Caritas diocesane sulle tematiche relative alla formazione e anche alcuni appuntamenti tematici organizzati con focus sulle diverse tematiche e campi di attività»

Quali le linee programmatiche dei nuovi interventi e quali sono oggi le maggiori criticità/ sfide da affrontare?

«Fondamentale, accanto agli aiuti materiali, è stato, è e continuerà ad essere o lo stile Caritas di ascolto e di relazione che aiuta le persone a non avvertire il senso di abbandono, a rafforzare la propria autostima e a trovare il coraggio per andare avanti.  Per quanto riguarda gli ambiti di intervento, in accordo con le realtà diocesane, su indicazione della Presidenza, ci stiamo ora concentrando su: lavoro, hub regionali, servizi caritativi parrocchiali, progetti innovativi per le donne. In pratica verrà dato sostegno alla nascita e all’accompagnamento di start-up di inclusione lavorativa, gestite soprattutto da giovani e rivolte ad altri giovani. Verranno attivati hub regionali con la funzione di ridistribuire sul territorio donazioni varie, specificamente attraverso realtà che favoriscano l’inserimento lavorativo di soggetti appartenenti a categorie svantaggiate. Si darà sostegno ad iniziative parrocchiali destinate alle persone costrette all’isolamento. Infine verrà favorita la nascita di servizi territoriali rivolti alle donne, in alternativa a quelli classici»

Di fronte alle attuali criticità come rafforzare la cultura della carità nei nostri contesti diocesani?

«Il desiderio è quello di essere stimolo affinché tutti, singoli e comunità, possano vivere una reale e appassionata attenzione a chi è nel bisogno e di essere segno di una Chiesa in uscita che prova ad essere lievito anzitutto nelle comunità per “stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise” come auspica Papa Francesco, costruendo insieme un futuro in cui ciascuno può sentirsi parte di un progetto che ha contribuito a scrivere. Il cuore di questa dolorosa esperienza deve dunque essere la fraternità e la solidarietà, con grande generosità ognuno deve portare i valori di umanità, di fede e di carità che possiede per creare comunione. Per risolvere, con uno sguardo globale, crisi tra loro fortemente connesse, come quella climatica, alimentare, economica e migratoria, e progettare un futuro libero da tutte “le pandemie”»

A cura di Maria Chiara Cugusi, servizio comunicazione Caritas Sardegna

COMUNICATO STAMPA. “Miracolo di Natale 2020”: i risultati della raccolta donata all’Emporio della Solidarietà

La locandina dell’edizione 2020

COMUNICATO STAMPA

“Miracolo di Natale 2020”: i risultati della raccolta donata all’Emporio della Solidarietà


Iglesias, 15 gennaio 2021

Nonostante le difficoltà connesse alla pandemia, peraltro ancora in corso, anche nell’edizione 2020 del cosiddetto “Miracolo di Natale” non è venuta meno la generosità degli iglesienti. Una cinquantina di differenti tipologie di prodotti hanno contrassegnato la raccolta di questa edizione, fra cui aceto, biscotti, caffè, confetture, dolciumi, farina, fette biscottate, latte, legumi, olio, omogeneizzati, passata di pomodoro, pasta, pelati, prodotti per l’igiene, prodotti per l’infanzia, riso, tonno in scatola e zucchero. La manifestazione si è svolta venerdì 18 dicembre, tagliando il 24 traguardo di un evento ideato da Gennaro Longobardi (in collaborazione con l’emittente televisiva “Sardegna Uno”) che da cinque anni, oltre che a Cagliari e in altre città, viene realizzata anche ad Iglesias grazie alla generosa partecipazione di un nutrito raggruppamento di volontari formato da associazioni, gruppi spontanei, scolaresche, artisti e semplici cittadini.

La Caritas diocesana di Iglesias, a nome delle centinaia di beneficiari di tale raccolta, esprime sentimenti di gratitudine verso tutte le persone che si sono spese generosamente nel rendere possibile questa iniziativa. Per evitare di dimenticare qualcuno o qualche organizzazione, si esprime un generale grazie che abbraccia tutti coloro che si sono generosamente prodigati per la riuscita dell’iniziativa, all’insegna della disponibilità, del sacrificio, della collaborazione, del rispetto e della condivisione di valori quali la solidarietà e la fraternità.

Tutti i beni conferiti grazie al “Miracolo di Natale” si stanno distribuendo alle famiglie bisognose attraverso l’Emporio della Solidarietà, un’innovativa opera-segno della Caritas diocesana, grazie alla quale si è evoluto il servizio di distribuzione dei beni di prima necessità

A seguire l’elenco dettagliato dei prodotti donati presso i locali dell’Exmà di Iglesias.

Quantità Prodotto Informazioni specifiche
19 Aceto di vino Litri
18 Bagno schiuma Confezioni
541 Biscotti Confezioni
5 Brodo pronto Litri
202 Caffè Confezioni
143 Camomilla Confezioni
19 Carta assorbente per la casa Confezioni
19 Carta igienica Confezioni
5 Condiriso Confezioni
57 Confetture Confezioni
6 Crema gianduia al cacao Confezioni
228 Dadi per brodo Confezioni
72 Dentifricio Confezioni
192 Dolciumi Confezioni
100 Farina Kilogrammi
94 Fette biscottate Confezioni
634 Latte Litri
420 Legumi Confezioni
81 Olio di oliva e olio extravergine d’oliva Litri
116 Olio di semi Litri
10 Olive in salamoia Confezioni
769 Omogeneizzati Confezioni
15 Pancarrè Confezioni
137 Panettoni Confezioni
69 Pannolini per l’infanzia Confezioni
1.589 Pasta Kilogrammi
70 Pasta per l’infanzia Confezioni
1.108 Pelati (polpa e passata di pomodoro) Confezioni
16 Polenta Confezioni
5 Polvere solubile al cacao Confezioni
228 Riso Kilogrammi
20 Riso pronto Confezioni
50 Sale Confezioni
29 Salviette per l’igiene Confezioni
49 Shampoo Confezioni
29 Snack salati Confezioni
340 Succhi di frutta Confezioni
18 Sugo pronto Confezioni
205 Tonno Confezioni
285 Zucchero Kilogrammi

Dal giorno dell’inaugurazione del servizio (13 giugno 2016) l’Emporio della Solidarietà cerca di far fronte ai bisogni alimentari di molti nuclei familiari (ad oggi sono circa 600 le persone aiutate direttamente o indirettamente). I prodotti alimentari più consumati sono: pasta, latte, legumi, passata di pomodoro, pelati, cibi in scatola (come tonno o carne), alimenti per neonati, biscotti, fette biscottate e zucchero. A seguito di un’apposita autorizzazione rilasciata dall’Azienda Sanitaria Locale, sono disponibili anche i prodotti “freschi”, quali formaggi, burro e insaccati. Il servizio permette anche la dotazione di prodotti per l’igiene personale e domestica.

L’Emporio della Solidarietà si trova in uno degli spazi dell’ex mattattoio comunale ed è nato dalla collaborazione tra la Caritas diocesana di Iglesias (che ne ha promosso il progetto), le Caritas parrocchiali, il Volontariato Vincenziano, il Terz’Ordine Francescano e la Sodalitas.

All’Emporio i prodotti non sono distribuiti con pacchi già predisposti ma sono i beneficiari stessi, dopo esser stati ascoltati dagli operatori dei Centri di almeno una delle realtà aderenti al progetto, a scegliere secondo le proprie necessità, come in un vero supermarket. Non si paga con denaro ma attraverso una carta magnetica che contiene dei crediti, attribuiti in base a diversi parametri, fra cui: l’ampiezza del nucleo familiare; la tipologia, l’intensità e la durata del disagio; l’ISEE e altri indicatori. La carta magnetica è personale ed è identificata attraverso un codice. I dati raccolti dai Centri della rete del Coordinamento confluiscono in un database che permette immediatamente di capire chi si è rivolto ai vari servizi territoriali, compreso l’Emporio, evitando pertanto duplicazioni d’interventi.

Se si vuole contribuire con una donazione in viveri si può passare direttamente all’Emporio della Solidarietà, in corso Colombo (Exmà) il lunedì (dalle 15.30 alle 18.30) o il giovedì e il venerdì (dalle 9.00 alle 12.00). È a disposizione anche il telefono (328.4768100) e un indirizzo di posta elettronica (emporio@caritasiglesias.it).

La Caritas diocesana

Le fragilità degli stranieri nell’anno della pandemia

Sala d’attesa del Centro di ascolto

Il 2020 è stato un anno difficilissimo da tutti i punti di vista. Purtroppo, accanto alla crisi sanitaria che si ripercuote anche sulla salute di chi non è affetto da Covid-19, vi è anche una crisi economica dovuta al confinamento e ai vari restringimenti che, seppur necessari, hanno messo in difficoltà tantissime famiglie.

La Caritas è l’organismo pastorale, voluto dai nostri Vescovi, che si occupa di testimoniare la carità e la  fede in Cristo attraverso le opere per promuovere lo sviluppo umano integrale con una particolare attenzione verso gli ultimi. È il Centro d’ascolto (CdA), in costante collaborazione con le parrocchie, il fulcro intorno al quale ruotano le altre azioni. Sono quindi il fratello e la sorella che si presentano alla nostra porta a interrogarci come uomini e donne, come comunità e a far muovere le nostre azioni. L’Area immigrazione, attraverso il CdA “Il Pozzo di Giacobbe”,  presta quest’attenzione verso i cittadini stranieri.

Il servizio è aperto dal 2015 e quest’anno, purtroppo, abbiamo incontrato per la prima volta anche moltissimi cittadini stranieri che risiedono in Italia da oltre dieci anni. Sono persone giunte in Sardegna ben prima dell’emergenza Nord-Africa (2011) e che hanno costruito una famiglia nel nostro Paese, lavorato e pagato le tasse. Alcuni hanno perso il lavoro come mediatori, cuochi o camerieri; inoltre, una quota rilevante viveva di commercio  ambulante.

Questi ultimi, nello specifico, hanno dovuto cessare la propria attività non potendo vendere nulla e anche se avessero potuto, per la paura legata al virus, nessuno sarebbe stato disposto ad acquistare. Tutto ciò ha finito per farli rimanere sostanzialmente senza reddito. La maggior parte di queste persone, infatti,  lavora nel commercio riuscendo così a mantenere la famiglia; ma a causa della quarantena il lavoro si è ridotto a tal punto da non riuscire più nemmeno ad acquistare i beni di prima necessità come cibo, prodotti per l’igiene personale e della casa.

Solo a Iglesias sono 18 le famiglie di stranieri presentatesi per la prima volta nel 2020, che hanno richiesto un aiuto di tipo prevalentemente alimentare; per un totale di circa 60 persone tra adulti e bambini. Come è tutti noto, in situazioni simili si sono venuti a trovare anche tantissimi italiani: piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e dipendenti. Ciò che rende ancora più critica la situazione di questi cittadini stranieri è che diversi dei loro permessi di soggiorno (e molto spesso quelli dei loro familiari) sono legati all’attività lavorativa. Questo problema, pertanto, si aggiunge al senso d’incertezza che abbiamo vissuto tutti durante quest’anno e che attiene all’eventualità che non siano rinnovati i permessi e all’ipotesi, neanche tanto remota, di un ripatrio nel Paese d’origine.

Tantissime di queste persone, principalmente senegalesi e marocchine, risiedono in Sardegna da 15 o addirittura 20 anni e sarebbe difficilissimo per loro inserirsi dopo così tanto tempo nelle comunità d’origine. Lo sarebbe ancora di più per le seconde e terze generazioni, nate e cresciute in Italia. La speranza è che il 2021 possa essere un anno migliore e porti un po’ di stabilità e serenità a tutti.

Aurora Fonnesu

Accogliere e custodire la vita: il Natale di Yafit

Il presepe sulla scrivania del Centro di ascolto della Caritas diocesana

Così come la Sacra Famiglia sa accogliere e custodire la Vita per eccellenza, a cominciare dal mistero di un Dio che diviene bambino in una Betlemme colma di stupore, anche la Caritas, nel suo piccolo, è come una sorta di famiglia in grado di promuovere e salvaguardare la vita, anche quella di una donna che viene da lontano, come nel caso di Yafit: una giovane madre senegalese che, in occasione del primo incontro, mostrava occhi impauriti che tradivano disperazione mista a una fierezza tipicamente africana.

«Ho lasciato la mia famiglia d’origine in Senegal 10 anni fa – dice Yafit (nome di fantasia) -, per raggiungere una sorella in Sardegna». Tutto andava per il verso giusto: un lavoro come commerciante ambulante, i suoi nuovi amici della comunità senegalese, l’incontro con un connazionale con cui     decide di legarsi sentimentalmente e realizzare il suogrande desiderio. «È nata la nostra bambina – ricorda commossa – e tutto andava bene. Poi, improvvisamente, lui è cambiato: ero diventata quasiinvisibile ai suoi occhi». Nel suo racconto, spesso interrotto dalle lacrime, emergono anche maltrattamenti fisici e verbali. Ben presto, oltre alle violenze, la giovane Yafit inizia a subire anche le ristrettezze economiche. «Non faceva più la spesa, neanche per la bambina; spendeva tutti i nostri soldi per sé». La Caritas la ritrova in questo periodo di preparazione al Natale, con occhi più sereni e fiduciosi: «Non mi sono sentita più sola», racconta a distanza di qualche mese; «io e la mia bambina siamo andate a vivere in un’altra casa». Yafit ha ritrovato un po’ di serenità, anche grazie al sostegno di una famiglia italiana che si prende cura della bimba mentre lei è a lavoro. Adesso Yafit è consapevole che può contare su una solida rete di protezione; è grata a quelle persone che, pur non conoscendola, l’hanno accolta mentre fuggiva dal pericolo; a loro si è affidata trovando rifugio, così come Maria e Giuseppe, dopo un lungo viaggio in attesa di accogliere la Vita. Con l’arrivo della pandemia e la sospensione del lavoro la situazione è diventata insostenibile. Il timore che lui diventasse ancora più violento convince la giovane a rivolgersi ad un avvocato impegnato nella tutela delle donne vittime di violenza. Viene così inviata al Centro di ascolto della Caritas di Iglesias e, attraverso un lavoro in rete con il Consultorio ASL, le forze dell’ordine e una mediatrice culturale, riceve un sostegno di tipo psico-pedagogico finalizzato all’allontanamento da quell’uomo violento. La Caritas la ritrova in questo periodo di preparazione al Natale, con occhi più sereni e fiduciosi: «Non mi sono sentita più sola», racconta a distanza di qualche mese; «io e la mia bambina siamo andate a vivere in un’altra casa». Yafit ha ritrovato un po’ di serenità, anche grazie al sostegno di una famiglia italiana che si prende cura della bimba mentre lei è a lavoro. Adesso Yafit è consapevole che può contare su una solida rete di protezione; è grata a quelle persone che, pur non conoscendola, l’hanno accolta mentre fuggiva dal pericolo; a loro si è affidata trovando rifugio, così come Maria e Giuseppe, dopo un lungo viaggio in attesa di accogliere la Vita.

Emanuela Frau

La formazione in Caritas al tempo del Coronavirus

Il tempo della pandemia come opportunità per l’approfondimento formativo

Nel tempo faticoso della pandemia non vogliamo far mancare, come Caritas diocesana, un supporto formativo e informativo. Questo è il senso delle “finestre” che stiamo aprendo sul nostro giornale diocesano perché possa integrare quanto si sta promuovendo a livello parrocchiale.

Anche la relazione con l’altro è stata in qualche modo intaccata dal virus, sfociando in due aspetti tra loro contrapposti: la relazione vista come un desiderio impossibile da realizzare ma anche come paura di essere contagiati. Da una parte la mancanza dei contatti sociali ci ha rivelato quanto l’altro sia importante per noi ma ha svelato anche quanto l’altro possa essere fonte di turbamento fino a rappresentare possibilità di malattia e di morte. La prima risposta che abbiamo dato al Coronavirus è stata la quarantena, un rafforzamento dei nostri confini per tutelare la nostra vita ma anche quella degli altri.

Come Caritas diocesana, con prudenza e coraggio, continuiamo ad offrire il nostro servizio di ascolto, accoglienza e prossimità concreta ai tanti nostri fratelli e sorelle provati da questa emergenza. Allo stesso tempo sentiamo necessario non rinunciare anche alla formazione.

Siamo stati costretti ad interrompere gli itinerari formativi di accompagnamento per le Caritas parrocchiali. Come équipe formatori della Caritas diocesana non ci siamo scoraggiati ma stiamo approfittando di questo momento di pausa forzata per continuare a formarci con l’ausilio dei mezzi digitali e con l’aiuto di formatori qualificati che, con generosità e professionalità, Caritas Italiana e la Delegazione regionale Caritas Sardegna ci stanno mettendo a disposizione. Proprio alcuni giorni orsono ci siamo incontrati virtualmente, a livello regionale, con le équipe formative delle altre Diocesi della Sardegna. Non sta mancando anche l’autoformazione. Come équipe diocesana stiamo aggiornando i percorsi formativi così come l’articolo 1 dello Statuto della Caritas Italiana ci invita a fare: “La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica”. Il nostro impegno è dunque quello di riprendere, appena possibile e in presenza, la formazione e l’accompagnamento delle Caritas parrocchiali

Papa Francesco, nel messaggio per la IV Giornata mondiale dei poveri, al numero 4 ci ricorda che “Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non le è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità”.

In questo  nuovo anno pastorale ci siamo proposti di essere più vicini alle Caritas parrocchiali, per accompagnarle anche con la formazione. Appena sarà possibile e le condizioni sanitarie lo permetteranno provvederemo ad attivarci e riprendere con gioia i percorsi formativi interrotti, attivarne di nuovi e poterci abbracciare come fratelli e sorelle in Cristo.

Aldo Maringiò

Alluvione a Bitti. La Diocesi di Iglesias promuove una colletta per domenica 13 dicembre

Gli effetti dell’alluvione a Bitti del 28 novembre 2020 (foto ANSA)

Le piogge straordinarie di sabato 28 novembre, oltre ai danni ingenti alle case e a diverse strutture produttive, hanno purtroppo comportato anche la perdita di vite umane. Ad essere colpita in modo particolare è stata la comunità di Bitti.

La Diocesi di Nuoro, particolarmente coinvolta in questa vicenda nel registrare bisogni e fragilità della popolazione bittese, attraverso la Caritas diocesana sta opportunamente tenendo al corrente le Chiese particolari della nostra regione.

Partecipe con la preghiera al dramma di quella comunità, la Diocesi di Iglesias intende promuovere per domenica 13 dicembre una colletta per contribuire ad alimentare l’apposito fondo istituito dalla Diocesi di Nuoro, al fine di intervenire nel far fronte alle fragilità più urgenti riguardanti le famiglie bittesi colpite.

Le comunità parrocchiali sono invitate a promuovere delle proprie collette, versando il frutto della generosità dei parrocchiani e di chiunque volesse partecipare alla Caritas diocesana di Iglesias, la quale informerà puntualmente sul giornale diocesano a conclusione della raccolta, provvedendo a trasferirla immediatamente all’apposito fondo della Diocesi di Nuoro.

A seguire le coordinate bancarie da utilizzare per i versamenti:

DIOCESI DI IGLESIAS – CARITAS DIOCESANA
IT 36 M 01015 43910 000000016779

Causale: Alluvione Bitti

“Un deserto fiorito”. Storie di fragilità nei Centri di ascolto Caritas ai tempi della pandemia

“Anche in un deserto può sempre nascere un fiore”

Fin dai primi giorni dell’emergenza Covid-19 la Caritas diocesana di Iglesias ha continuato e rafforzato i propri servizi per stare accanto agli ultimi e alle persone in difficoltà, spesso in forme nuove e adattate alle necessità contingenti. Fra i diversi servizi rimasti attivi, anche i Centri di ascolto della Diocesi, seppur con giorni e orari modificati per necessità, hanno continuato ad operare sempre in presenza.

C’è una povertà che sfioriamo ogni giorno, che abbiamo accanto e di cui spesso non siamo consapevoli. La povertà concreta di chi, a causa della crisi economica, della perdita di lavoro, di una malattia, si vede trascinato in un mondo che non conosceva; la povertà di uomini e donne, spesso giovani, che non avrebbero neppure immaginato di trovarsi un giorno a non avere i mezzi per assicurarsi una vita dignitosa. Di disagio sociale e di povertà si è sempre parlato ma oggi siamo di fronte ad una situazione critica. L’aumento consistente del numero di persone che, in un contesto di partenza “normale” si ritrova indigente, pone di fronte a noi il dramma di tante famiglie alle prese con diverse difficoltà economiche, rispetto alle quali molto spesso non sanno come reagire: si trovano smarrite, quasi avvolte nell’ombra, dovendo affrontare una condizione che può essere anche drammatica.

L’ascolto nasce dalla volontà di spezzare quest’ombra, questo deserto troppo silenzioso; dalla volontà di accendere una luce su storie altrimenti destinate a restare al buio. L’ascolto nasce dal desiderio fraterno di raccontare vite invisibili ma non per questo prive di concretezza, di umanità ferita. Una realtà di cui non siamo e non vogliamo essere meri testimoni silenti. Tutt’altro: come cristiani dobbiamo sentirci fortemente coinvolti, responsabili come fratelli, gli uni degli altri. In tutto questo tempo di fragilità per ognuno di noi, a causa della pandemia, abbiamo incontrato e ascoltato esperienze difficili. Raccontando le loro storie, riuscendo a far vedere una nuova strada verso la serenità per molte famiglie, partendo dall’esperienza umana e dalle parole delle persone coinvolte, abbiamo cercato di fare luce su una realtà altrimenti silenziosa e di testimoniare che la vita di una persona può sempre cambiare in meglio. Le loro storie sono piene di paure ed incertezze ma anche di coraggio. Il cambiamento avviene attraverso un incontro che diventa fraternità.

Nel mese di giugno 2020 si è presentata al Centro di ascolto una ragazza di 32 anni, con figli e reduce da una separazione burrascosa: una persona molto provata, senza casa e senza sussidi; molto spaventata per il fatto di non avere apparentemente niente da dare ai propri figli, la più grande dei quali in attesa di un bambino. Inizialmente viveva da un’amica che l’aveva accolta. Giunta al Centro d’ascolto, indirizzata dal Consultorio della ASL, il primo giorno che l’abbiamo incontrata era molto diffidente e spaventata. L’abbiamo accolta affinché si sentisse a casa, assicurando che la sua storia – come quella di tutti coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto – sarebbe rimasta nel segreto di quelle mura e di quei cuori fraterni.

Ci sono stati degli interminabili silenzi, fino a che, dopo averle chiesto il suo nome, la ragazza ha iniziato ad aprirsi e a parlare, seppur alternando continui silenzi carichi di significato e molto comunicativi. Dopo aver ascoltato la sua storia, i suoi bisogni e le sue richieste incerte e impaurite, abbiamo iniziato a tracciare insieme a lei una strada da percorrere. Quel giorno è andata via un po’ più serena. È tornata dopo una settimana, dicendoci che aveva ricevuto la tessera per l’Emporio della solidarietà e che stava lavoricchiando; in seguito l’abbiamo orientata al Caf per effettuare le pratiche utili ad ottenere alcuni sussidi di cui aveva diritto. Inoltre, le abbiamo suggerito di continuare ad andare al Consultorio, per lei ma soprattutto per la figlia in attesa. Ha trovato una piccola casa, per il cui affitto abbiamo provveduto inizialmente a sostenerla. Recentemente ha ottenuto il reddito di cittadinanza e, seppur con molta fatica, riesce a sostenere le spese quotidiane.

Finalmente il percorso della sua vita ha cominciato a prendere una traiettoria diversa. Si tratta di un cambiamento che è partito anzitutto dalla stessa ragazza. Inoltre, il Centro d’ascolto ha operato in rete con la comunità. Infatti, per poterla guidare ed aiutare sono state coinvolte diverse risorse (civili ed ecclesiali) che operano nel nostro territorio. La sua storia, peraltro, ha provocato un cambiamento interiore anche fra le volontarie del Centro di ascolto, ricordandoci come anche in un deserto, il nostro deserto – non solo quello di chi ci chiede aiuto –, può sempre nascere un fiore.

Anna Franca Manca