Presso la Caritas diocesana di Iglesias, anche nell’anno 2019 è stato possibile svolgere l’esperienza del Servizio Civile Nazionale. Nel 1976, in occasione del primo Convegno ecclesiale, Caritas Italiana ha ricevuto dalla Chiesa il compito di promuovere l’obiezione di coscienza e il servizio civile: una forma di servizio alternativo a quello militare. Da allora e sino al 2005, quando la leva è stata sospesa, oltre 100.000 giovani hanno potuto intraprendere la strada dell’obiezione di coscienza. Con l’introduzione della legge 64/2001, la Caritas ha proseguito il proprio impegno sul versante del Servizio civile nazionale e lo fa tutt’oggi. Si tratta di una proposta scelta liberamente dal giovane volontario, della durata di 12 mesi, articolata su più aree d’intervento: dalla promozione delle relazioni, dei diritti umani e di cittadinanza al sostegno delle persone in stato di disagio, alla sfida dell’immigrazione.
I progetti di servizio civile della Caritas Italiana, promossi dalle Caritas diocesane, vogliono essere per i giovani un’occasione per contribuire al bene comune e allo stesso tempo per un percorso di crescita personale e comunitario nei valori della pace, della solidarietà e della giustizia sociale. La nostra Caritas diocesana si è sempre impegnata attivamente presentando ne corso degli anni vari progetti che vedevano coinvolti i giovani presso i Centri di ascolto, la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano” e, nell’ultimo anno, in collaborazione con la Cooperativa sociale “Antigone”, presso la “Casa dei Nonni” di Serbariu.
Da referente diocesana dell’Area Giovani e Servizio Civile della nostra Caritas posso affermare che i giovani in servizio civile sono una risorsa fondamentale: ci aiutano nella quotidianità, contribuendo a creare ogni volta un nuovo volto alla nostra Caritas diocesana.
Il 15 gennaio 2020 un altro anno di servizio civile è giunto al termine e la Caritas diocesana rinnova l’invito ai giovani ad impegnarsi in esperienze di volontariato, perché contribuiscono ad una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda e ad una maggiore sensibilità verso l’altro, soprattutto se più fragile e bisognoso di aiuto.
La testimonianza di Matteo Cuccu
Ho appena terminato l’anno di servizio presso la “Casa dei Nonni”, una struttura che offre ospitalità diurna e anche notturna a degli anziani. La Casa è situata a Serbariu, proprio di fronte alle Chiesa di San Narciso.
Il servizio civile, purtroppo, è un treno che passa una volta sola. Per me è stato un percorso di crescita e apprendimento: dodici mesi nei quali ho sviluppato una sensibilità maggiore e sono cresciuto parecchio. Dodici mesi che inizialmente potrebbero sembrare un’eternità ma che col passare del tempo volano e, purtroppo, diventano solo un bellissimo ricordo. Come dicevo prima, un anno sembra tanto, ma non lo è affatto: questi dodici mesi sono volati e ora, a servizio concluso, provo come una sensazione di vuoto non indifferente… come se le mie giornate fossero “incomplete” senza il servizio. Ciò dimostra quanto questa esperienza abbia lasciato il segno in me. Questa mancanza credo sia per il rapporto creatosi con le operatrici della struttura e i nonni, perché alla Casa mi sentivo veramente come in famiglia: ogni giornata facevo fatica ad andare via e pensavo sempre a tutti i grazie che avrei voluto dire ma che non sempre riuscivo ad esternare. Le operatrici mi hanno trasmesso la passione e l’amore che mettono nel lavoro ed inoltre la loro disponibilità nell’aiutare gli altri, dandomi sempre consigli di ogni genere. I “nonnini” sono stati fondamentali: tutte le loro storie, i loro caratteri, le loro diversità mi hanno fatto capire quanto ho e quanto sono fortunato; mi sono affezionato ai miei “nonnini” … non ricordo un giorno in cui non abbia imparato qualcosa da ognuno di loro. Il confronto così ampio tra le generazioni mi ha fatto pensare e capire tante differenze che noi giovani magari diamo per scontate.
Anche il servizio civile però, come la vita, ha degli aspetti positivi e negativi: alti e bassi non sono mancati, perché in alcuni momenti mi sono sentito fuori luogo, non all’altezza; ma proprio questo mi ha fatto pensare a migliorare, facendomi andare avanti al meglio.
Il più grande conforto per la mancanza che sento dopo questo bellissimo anno è che il servizio civile non finisce mai: i valori di questo percorso camminano a braccetto con ognuno di noi, tutti i giorni, per sempre. Se potessi, rifarei ancora questa esperienza, poiché mi ha cambiato e dato tanto. Ho conosciuto delle persone fantastiche e spero solo di aver dato tanto anch’io, perché ce l’ho messa tutta.
La testimonianza di Elisabetta Sias
Sono stata in servizio presso la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano”. Quest’anno di servizio appena terminato è stato fantastico. Mi ha dato la possibilità di conoscere nuove storie, nuove situazioni ma soprattutto persone stupende, con un grande cuore e con tanto da raccontare e da insegnare: tutte con diversi passati, diverse esperienze e diverse origini; ma nonostante ciò sempre pronte ad aiutarsi a vicenda.
Inizialmente ero in dubbio sulla scelta che avevo fatto. Non riuscivo ad immaginare cosa mi aspettasse. Ora, invece, posso dire che è stata una delle scelte migliori che io abbia fatto. Sono contenta di aver scelto la Caritas diocesana e il progetto “Oltre l’accoglienza”. Ho conosciuto l’esistenza della Casa “Santo Stefano” tramite il bando del servizio civile, non immaginando come potesse essere; ma poi, lì ho trovato come una seconda casa. Certo non tutto è andato sempre “liscio” e non sono mancate le incomprensioni, ma con un po’ di pazienza, da parte di tutti, l’anno si è svolto nei migliori dei modi.
Io e gli altri volontari in servizio alla Casa abbiamo avuto la possibilità di conoscere tante realtà diverse, ma soprattutto di capire che dietro ogni persona c’è sempre una storia che vale la pena di essere ascoltata. Quando entri in questo tipo di strutture sei convinto che sarai tu a dare qualcosa a loro, ma con il passare del tempo capisci che sono queste persone a dare qualcosa a te.
Oltre agli ospiti, conosci anche il mondo del volontariato, che non sempre pensi possa esserci, invece è anche grazie a loro se ciò può essere possibile. Un po’ tutte le storie personali ti fanno riflettere, in particolare quelle dei detenuti in permesso: noi non sappiamo il motivo per cui loro sono in carcere, però nel momento in cui entrano nella Casa sono semplicemente delle persone. Riesci, dunque, a guardare oltre.
Una storia che mi è rimasta particolarmente impressa è l’esperienza di una ragazza venezuelana, scappata da una situazione di estremo disagio (in un momento particolarmente difficile per quel Paese latinoamericano), lasciando in patria sua figlia e sua madre. Con una grande forza di volontà e con l’aiuto della Caritas diocesana è riuscita nel giro di un anno ad ottenere un titolo di soggiorno e a portare la sua famiglia da noi, in Italia, e salvarla da un futuro incerto e assai problematico. Io, da mamma, non so come sia riuscita a stare per così tanto tempo lontana dalla figlia. Personalmente, non so se sarei riuscita ad avere la sua stessa forza e il suo coraggio. Devo ammettere che grazie alla sua determinazione, la sua bambina potrà vivere degnamente la propria infanzia e avere un futuro sereno. A chi mi chiede: rifaresti quest’esperienza? Rispondo di sì e ringrazio la Caritas diocesana per averci dato questa possibilità.
A cura di Elena Sanna