Il servizio svolto all’interno e all’esterno del mondo carcerario da parte delle comunità cristiane (cappellani, volontari delle Caritas, ecc.) pone in luce l’esistenza di una realtà sofferta e complessa, come ci ricordano di tanto in tanto anche le cronache giornalistiche, in particolare quando si apprende dolorosamente della difficile condizione della vita carceraria o persino di qualche detenuto che si toglie la vita.
Peraltro, queste difficoltà e complessità si amplificano quando i detenuti provengono da Paesi diversi dal nostro. I detenuti stranieri, infatti, oltre alle consuete difficoltà tipiche di chi vive una condizione della limitazione della libertà personale, manifestano sovente l’assenza di reti relazionali significative con l’esterno; alcune volte subiscono ulteriori discriminazioni all’interno delle strutture detentive; trascorrono i giorni in condizioni di reale indigenza; inoltre, vivono sulla propria pelle la minaccia incombente di una legislazione riguardante il permesso di soggiorno che, una volta usciti dal carcere, rischia di porli in una condizione di illegalità non sanabile in poco tempo.
Stando ai dati del Ministero della Giustizia, al maggio del 2022, dei 2.011 detenuti reclusi nelle strutture penitenziarie della Sardegna 426 sono di nazionalità non italiana: una quota pari al 21,2%. Si tratta di una presenza concentrata per lo più nelle strutture di Onanì-Mamone (ove gli stranieri assorbono il 66% delle persone recluse), Arbus-Is Arenas (64,5%) e Isili (ove la metà della popolazione carceraria è straniera). Risulta minoritaria, ma comunque significativa, la percentuale dei detenuti stranieri presente nelle strutture penitenziarie di Sassari-Bancali (poco più di un quarto, con una quota pari al 27,5%) e di Cagliari-Uta (16,6%).
La maggior parte dei detenuti stranieri proviene dal continente africano (dai soli Paesi del Maghreb una quota pari al 40,8%); in particolare dal Marocco (105 su un totale di 426 detenuti stranieri), dalla Nigeria (51), dalla Tunisia (41), dall’Algeria (28), dal Gambia (17), dal Senegal (16), dall’Egitto (12) e dal Ghana (5).
Tra i detenuti provenienti dal continente europeo: i romeni (34), gli albanesi (25), i bosniaci (8), gli ucraini (7) e i polacchi (4). Sono presenti anche detenuti provenienti dalla Siria (7), dall’India (5), dal Pakistan (4) e dalla Cina (4).
Della condizione dei detenuti stranieri reclusi nelle strutture penitenziarie della Sardegna si occupò anche una ricerca condotta dalla Delegazione regionale della Caritas, pubblicata nel 2015 col titolo “Caritas: dentro e fuori dal carcere. Indagine sulla popolazione straniera detenuta negli istituti di pena della Sardegna”.
I detenuti stranieri incontrati dagli operatori delle Caritas durante la ricerca furono più di 300 (di cui solo 6 di genere femminile). La somministrazione dei questionari avvenne in alcune delle strutture penitenziarie dell’epoca: Cagliari, Iglesias, Isili, Massama, Nuoro, Onanì e Tempio-Pausania. Da quella ricerca emergeva come dall’Africa provenisse la maggior parte dei detenuti intervistati (più di uno su quattro nato in Marocco).
In diversi casi i detenuti stranieri intervistati dichiararono di non essere in possesso del permesso di soggiorno prima della reclusione: quasi sei su dieci. Tale problema, spesso sottovalutato, influenza in maniera determinante le vicende degli stranieri. Le richieste emerse durante i colloqui furono molteplici, intercettando problematiche quali: la modalità per la regolarizzazione e per il rinnovo del permesso di soggiorno; le norme che regolano l’espulsione e l’estradizione; le possibilità e modalità di accesso a misure alternative; il rinnovo di documenti presso l’autorità consolare del paese d’origine; le modalità per ottenere il permesso di contattare i familiari.
Per i detenuti stranieri assume grande rilevanza il ruolo assunto dai mediatori linguistici e culturali. Il mediatore, ad esempio, aiuta i detenuti a leggere e capire i documenti processuali e le lettere degli avvocati, a comprendere le modalità per ottenere indumenti e altri effetti personali, per svolgere lavori interni all’Istituto carcerario dove stanno scontando la pena, per iscriversi a corsi professionali e scolastici. Si tratta di un ponte con il mondo esterno e con un futuro di redenzione che è spesso difficile intravedere stando all’interno di un’istituzione totale come il carcere.
Raffaele Callia