Il 13 giugno scorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato un consistente “Rapporto di monitoraggio sulla gestione e sugli esiti del Reddito di cittadinanza relativo agli anni 2020-2023”, realizzato da un apposito Comitato scientifico previsto dalla legge istitutiva del 2019. Oltre al testo integrale del Rapporto sono stati pubblicati anche una sintesi e delle tabelle esplicative dei dati.
Dal Rapporto in questione emerge come in quattro anni e mezzo, da aprile 2019 a dicembre 2023, a ricevere il Reddito di cittadinanza o la Pensione di cittadinanza siano stati in tutto oltre 5.000.000 di beneficiari. Di questi, meno di un terzo (pari a oltre 1 milione e mezzo di persone) ha ricevuto tale beneficio senza soluzione di continuità. Per tutto il periodo considerato, la misura è costata allo Stato circa 34 miliardi di euro. Oltre al costo dell’operazione nel suo complesso, ciò che deve interessare la collettività è sapere se la misura ha avuto un impatto importante nel contrastare la povertà, in particolare quella assoluta, tenuto conto dell’obiettivo ambizioso che si era posto il legislatore con tale dispositivo: attivare una misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, di pari passo (aspetto che è rimasto sostanzialmente sullo sfondo) con l’implementazione di politiche attive del lavoro.
A fornirci una risposta in tal senso è l’Istituto nazionale di statistica. Considerando i dati sulle famiglie in povertà tra il 2020 e il 2022, l’Istat ha calcolato che poco più del 30,0% di esse è stata in grado di ricevere il Reddito di cittadinanza. Ciò significa che ben oltre i due terzi della platea delle famiglie che vivevano in condizioni di povertà assoluta, in quegli anni particolarmente difficili a causa delle conseguenze socio-economiche della pandemia, non hanno potuto usufruire del provvedimento in questione. Si tratta di una realtà che era stata già fotografata a suo tempo dalla Caritas Italiana, attraverso un monitoraggio sul Reddito di cittadinanza, poi confluito in una pubblicazione dal titolo “Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte”.
Oltre all’esclusione di una parte consistente della platea dei potenziali beneficiari, l’applicazione della misura ha fatto registrare alcune disparità di trattamento legate al contesto territoriale. Le famiglie povere residenti nel Nord Italia, infatti, sono state sostanzialmente penalizzate rispetto a quelle del Sud, a causa dell’applicazione di una soglia unica nazionale che non ha tenuto conto del differente costo della vita (più elevato al Settentrione rispetto al Meridione d’Italia). Non solo, l’utilizzo di una scala di equivalenza “piatta”, non in grado di modulare adeguatamente l’entità del contributo sulla base della numerosità dei componenti dei nuclei familiari, ha di fatto penalizzato le famiglie più numerose.
Un ultimo aspetto di criticità, non meno importante, riguarda il tema della presa in carico dei beneficiari e il ruolo dei Servizi sociali territoriali. Riguardo a questo aspetto, il Rapporto pubblicato il 13 giugno pone in evidenza come solo la metà dei nuclei beneficiari del Reddito di cittadinanza sia stato indirizzato ai Servizi sociali e, tra di essi, solo il 23,0% ha firmato il cosiddetto “Patto d’Inclusione” all’inizio del 2023. In molti, tra studiosi ed operatori del settore, ritengono che questi risultati siano la conseguenza da un lato di un enorme ritardo nei percorsi di accompagnamento in favore dei beneficiari e dall’altro di un mancato rafforzamento amministrativo a livello locale, assolutamente necessario a garantire una misura organizzativamente così complessa.
D’altra parte va considerato, ancora una volta dati alla mano, come grazie a tale misura l’incidenza della povertà familiare nel 2020 sia effettivamente scesa di 1,6 punti percentuali. Come dire che se non vi fosse stato il Reddito di cittadinanza, in un momento di forte crisi socio-economica dovuta alla pandemia, la situazione sarebbe stata ben peggiore.
Oggi le politiche sociali si trovano di fronte a uno scenario non meno complesso, con una povertà assoluta che non accenna a diminuire e con una fragilità che intacca sempre più le fasce più deboli della popolazione, come i bambini. L’ultimo rapporto pubblicato da Save the Children Italia, dal titolo “Domani (Im)Possibili”, che contiene anche un’indagine condotta da Caritas Italiana, ci ricorda come l’incidenza più alta della povertà assoluta si stia registrando tra i minori di 18 anni: il 14,0% dei minorenni si trova in condizioni di povertà, il che significa che ben 1,3 milioni di minori in Italia è povero.
L’esperienza insegna come sia necessario sempre partire dai poveri per formulare delle proposte che siano in grado di rispondere ai loro bisogni ma anche alle loro aspirazioni. Nel fare ciò bisogna evitare di lasciare fuori qualcuno: che sia straniero o italiano, che viva in una regione del Nord o in una del Mezzogiorno, che viva in una famiglia numerosa o che sia solo. Non solo, bisogna assicurarsi che gli attori sociali, a cominciare da chi opera nei Servizi pubblici, sia adeguatamente sostenuto e formato per reggere il peso organizzativo di una misura che non può solo essere pensata dal centro, senza considerare la realtà dei territori, le loro diversità e peculiarità.
Raffaele Callia