L’importanza di fare volontariato durante l’emergenza: l’esperienza di due giovani volontarie

Disegno realizzato da Gloria Mura

Condividiamo la testimonianza di Sara Concas e Gloria Mura, due volontarie della Caritas diocesana, rispettivamente presso il Centro di ascolto “Marta e Maria” e la Casa di prima accoglienza “Santo Stefano”. Nel 2017 Sara e Gloria sono state selezionate, insieme ad altre ragazze e ragazzi, per svolgere il Servizio Civile nella Caritas diocesana di Iglesias, nelle stesse “opere segno” in cui – terminato l’anno di Servizio Civile – hanno voluto continuare a donare generosamente il proprio tempo; anche nei giorni più difficili dell’emergenza sanitaria, durante i quali per ragioni di sicurezza è venuto meno l’apporto di non pochi volontari di una certa età o con particolari esigenze di salute. La testimonianza di Sara e Gloria ci pone di fronte, in modo limpido, al valore della gratuità disinteressata e ci racconta un mondo giovanile fatto di tanto impegno ed entusiasmo, con una spiccata vocazione all’amore verso il prossimo.

Da quando è scattato l’allarme per l’emergenza sanitaria abbiamo continuato regolarmente il nostro turno settimanale di volontariato. Con molta onestà non neghiamo che all’inizio fossimo preoccupate per la situazione che si era venuta a creare. Tuttavia, con l’andare del tempo ci siamo armate di coraggio scrollandoci di dosso la paura – che altro non è che una pessima consigliera – e con la giusta lucidità abbiamo continuato imperterrite a fare quello che abbiamo sempre fatto: il nostro dovere, il bene per il prossimo.

Sebbene con due orientamenti professionali diversi siamo unite dall’essere volontarie, nell’unico obiettivo di contribuire alla crescita di una società migliore. Nella diversità che ci caratterizza riusciamo a cogliere quanto di buono c’è in noi e nelle persone che ci stanno accanto.

Ora più che mai il termine “volontariato” assume un concetto ancora più importante, denso e colmo di significato. Ogni occasione dovrebbe essere giusta per fare del bene, a prescindere da tutto, affinché nessuno venga lasciato indietro e solo.

Chi tiene a mente il significato della parola empatia, capisce a cosa ci riferiamo: vedere, captare e cogliere negli occhi dell’altro e nell’animo umano, la ricerca di aiuto.

Avvicinarsi al mondo del volontariato è un gesto di nobiltà d’animo, una scelta che nasce dal profondo del proprio cuore. Un po’ si nasce con lo spirito del volontario. Ma crediamo sia una dote che si possa coltivare e sviluppare nel tempo, attraverso l’insegnamento che ci viene dato, le esperienze di vita o semplicemente il farsi trasportare dalla voglia di fare del bene. Il volontariato è senza dubbio un grande atto d’amore, di altruismo e di generosità.

Fare qualcosa di concreto per il prossimo crea uno scopo, un obiettivo da raggiungere, una missione. Si tratta essenzialmente di restituire dignità alle persone in difficoltà. Utilizziamo la parola “restituire” perché, quando le persone si ritrovano in qualche modo costrette a dover chiedere aiuto perché non sanno come andare avanti, è come se quest’azione comportasse loro la perdita della propria dignità.

In verità non dovrebbe esserci nessuna vergogna nel chiedere aiuto. Anzi, chiunque potrebbe ritrovarsi in circostanze analoghe: alcune volte determinate da alcuni errori commessi in passato, ma tante altre volte per ragioni non volute. Ci riferiamo alla perdita del lavoro, della casa, ad un allontanamento forzato dalla propria famiglia; il non avere un posto per dormire, un piatto per mangiare, un disagio economico, la difficoltà a fare la spesa. Insomma, un mondo di problemi ognuno diverso dall’altro.

È in queste circostanze che entra in soccorso la figura del volontario. Una figura che deve essere in grado di accogliere senza condizioni: conoscere, non giudicare ma provare a stabilire una vicinanza fondata sull’empatia.

È molto importante avere una spiccata sensibilità per fare il volontario, ma allo stesso tempo, per agire nella maniera più efficace, è ugualmente importante non farsi trasportare troppo dalle emozioni, proprio perché queste potrebbero condizionare il percorso di aiuto. Il nostro compito è sì aiutare, ma aiutare senza sostituirci all’altro o, peggio ancora, facendo dipendere l’altro dalla nostra assistenza (assistenzialismo). Ecco perché è importante che non si stabilisca mai una dipendenza dal chiedere aiuto. Il nostro intento è quello di arrivare al cuore del problema e tramite il coinvolgimento di una rete sociale puntare sulle potenzialità che la persona potrebbe sviluppare ed offrire per riprendere in mano la propria vita, riconquistando la dignità.

La formazione che ci ha accompagnate durante il Servizio Civile è stata fondamentale, così da vivere e scegliere il volontariato come compagno di vita. È stato un anno di svolta e di cambiamento per la formazione e crescita personale, in cui prendere coscienza delle tante realtà che ci circondano, facendoci capire quanto siamo fortunati e quanto ci lamentiamo per motivi superflui e di poco conto; rispetto a chi non ha nulla e ha perso tutto, perfino i propri affetti, restando solo e dimenticato da tutti.

All’inizio, ritrovarsi a fare esperienza sul campo non è stato facile. Forse perché certe situazioni da vicino non le avevamo mai toccate con mano e quindi vissute in prima persona. Ma forse è stata proprio questa voglia di fare del bene e dare il proprio contributo che ha prevalso su tutto ed è stato il motore che ci ha spinto a vivere ed imparare fino in fondo da questa “scuola di vita”.

Siamo state in contatto con persone che al di fuori del Centro di ascolto e della Casa di accoglienza non avremmo mai avuto l’opportunità di conoscere: storie di immigrati in cerca di un futuro migliore, di detenuti in permessi premio, di persone che da un giorno all’altro hanno perso il lavoro, persone che non avevano più rapporti con la propria famiglia e non avevano un posto dove stare, qualcuno che ascoltasse la loro sofferenza.

Ogni persona incontrata ci ha insegnato qualcosa ed è grazie a loro che abbiamo acquisito più consapevolezza riguardo all’importanza di aiutare, sostenere e supportare il prossimo. Quella del volontariato è l’occasione giusta per diventare, insieme al prossimo, delle persone migliori. Infatti, è mentre stai aiutando l’altro che ti accorgi che in realtà quell’aiuto lo stai ricevendo proprio tu.

Da giovani volontarie vogliamo fare un appello alle giovani generazioni presenti e future affinché possano avvicinarsi al mondo del volontariato. Un mondo tutto da scoprire. Cogliete l’occasione di questa proposta come una scuola di vita, un’esperienza di cittadinanza attiva, un’opportunità per essere consapevoli delle tante realtà di disagio, per poter aiutare, imparare e crescere per diventare uomini e donne più coscienziosi e consapevoli del mondo attorno a noi. La parte più bella è il legame che si crea con le persone, lo scambio di un sorriso e semplicemente il fatto di esserci. Poter strappare un sorriso al prossimo non ha prezzo, perché oltre l’aiuto materiale è altrettanto importante anche l’aiuto morale, quello che proviene dal cuore.

Vogliamo completare la nostra testimonianza con un omaggio al mondo del volontariato. Un disegno in cui la solidarietà assume la forma di una stretta di mani, in cui il volontario, il braccio verde, colore simbolo della speranza, trasmette fiducia e protezione per un mondo migliore alla persona che chiede aiuto col braccio di colore rosso. Le mani sono unite ma allo stesso tempo distanziate dalla presenza dei guanti bianchi simbolo della lotta contro il coronavirus. Non a caso i colori utilizzati sono quelli della bandiera italiana, come segno di vicinanza a tutti gli italiani, a tutti gli operatori socio-sanitari che operano in prima linea negli ospedali, a tutti i volontari impegnati nella lotta al coronavirus, a tutti i commercianti che in questo momento hanno ripreso il proprio lavoro e ha chi l’ha perso a causa di questa emergenza. Questo disegno vuole essere un messaggio di speranza, perché siamo certe che tutti insieme, attraverso la prudenza, il buon senso e la fede, distanti ma uniti ce la faremo.

A cura di Sara Concas e Gloria Mura