Nelle prime settimane del 2022 lo sguardo cominciava a proiettarsi verso un futuro di bramata “normalità”, dopo due anni di restrizioni e affanni causati dalla pandemia. Si cominciava a tirare un sospiro di sollievo dopo un periodo assai faticoso, durante il quale anche le Caritas diocesane della Sardegna sono state sottoposte a un impegno straordinario e a sollecitazioni nuove e continue. Tra la fine di febbraio e i primi di marzo di quest’anno, esattamente come due anni fa, ci siamo trovati a convivere con una nuova emergenza e nuove preoccupazioni; con la scoperta dolorosa di un nuovo conflitto nel cuore dell’Europa. Una nuova emergenza che è anzitutto umanitaria e morale, prim’ancora che geopolitica.
Di fronte a tante e tali preoccupazioni, dopo un così prolungato periodo di prova, vi è senz’altro il rischio di vivere una subdola tentazione: di gettare la spugna, di dire basta alle continue sollecitazioni derivanti dai problemi di tanti fratelli e sorelle che chiedono aiuto. Ecco che anche per i credenti arriva l’ora del grande interrogativo esistenziale: che significato ha tanta sofferenza? Perché siamo così impotenti di fronte a questo nuovo dolore? Dove trovo la forza per andare avanti, dopo così tante prove? Perché continuare a fare il bene, visto come vanno le cose nel mondo?
Sono interrogativi più che legittimi, che trovano una generosa accoglienza nella misericordia di Dio, nonostante i nostri molti dubbi e la nostra fragilità. Una qualche risposta ce la offre San Paolo, quando – rivolgendosi alla comunità dei Galati (6,9-10a) – esorta a non stancarsi mai «di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo». Ebbene, chi opera nei servizi caritativi deve combattere tutti i giorni contro la diabolica tentazione di cessare di fare il bene: perché non si vedono subito i risultati; perché le cose non vanno come si vorrebbe; perché il male e i problemi sembrerebbero prevalere sul bene e sulle soluzioni necessarie.
In verità, la prospettiva di chi ha fede – ce lo ricorda Papa Francesco nel suo messaggio per questa Quaresima – non è quella di un dirigente aziendale, coi suoi business plan e i suoi sofisticati modelli matematici per la realizzazione di obiettivi da portare a compimento secondo le auspicate previsioni. La prospettiva di chi ha fede è quella sobria ed essenziale di un agricoltore, che si sforza pazientemente di seminare nonostante tutte le difficoltà e le intemperie, senza sapere quando sarà il tempo della mietitura. Una giusta provocazione per ricordarci che siamo tutti delle fragili creature e non il Creatore.
A noi il compito di metterci a disposizione nel servire i fratelli, costruendo la Pace come uomini e donne sempre desiderosi di perdonare e di chiedere perdono; sempre desiderosi di fare il bene: non nonostante tutto, ma proprio a partire dal tutto che quotidianamente siamo chiamati a vivere.
Raffaele Callia
Delegato regionale Caritas Sardegna